Accadde domani. 27 novembre 1979. Assalto alla Chase Manhattan Bank

Accadde domani. 27 novembre 1979. Assalto alla Chase Manhattan Bank

27 novembre 1979 Assalto alla Chase Manhattan Bank.

Dimitri ed io, nel giro di poco più di una settimana, riuscimmo a pianificare l’azione che ebbe luogo la mattina del 27 novembre del 1979. Ci svegliammo all’alba, verso le cinque. Partimmo tutti da casa di Valerio Fioravanti. Io indossavo la divisa da guardia giurata. Agivo a volto scoperto. Mi presentai in anticipo rispetto all’orario in cui si presentava normalmente Mori. Erano passate le sei. Secondo i piani lui quella mattina sarebbe arrivato puntuale come sempre. Una volta giunto sul posto scesi nel garage sotterraneo della banca e raggiunsi l’ingresso riservato ai dipendenti. A quell’ora c’era un addetto delle pulizie, Giuseppe Bianciardi, e due donne che lo aiutavano. Mi presentai davanti all’ingresso come il sostituto di Mori. Non ci trovarono nulla di strano. Aprirono. Una volta dentro alla banca, manifestai le mie intenzioni di procedere con la rapina. La situazione assunse un che di comico e surreale perché faticai a convincerli di essere un rapinatore. Il fatto che avessi la pistola non sortì alcun effetto. Feci vedere la seconda pistola, dotata di silenziatore, e anche qui l’uomo delle pulizie non parve convinto e ribatté: «Be’, perché nun voi fa’ rumore…».
Alla fine dovetti mostrare le due bombe a mano Srcm per convincerli e farli rassegnare. Le due donne disperate mi dissero che in banca non c’era nulla e che era meglio che me ne andassi. L’uomo invece, comprendendo la situazione, le zittì e si rese disponibile a rendermi tutto più semplice.
«Se è venuto qui in banca è perché è sicuro di trovare soldi» disse loro, e poi rivolgendosi a me si offrì di aiutarmi a trasportare di fuori anche le macchine da scrivere. Io gli dissi che quelle erano l’unica cosa che non mi interessava. Ordinai loro di procedere con le operazioni come facevano normalmente. Si attennero perfettamente alle mie disposizioni. Accesero le luci e tolsero tutti gli allarmi. Dopodiché li feci sedere accanto a me e attendemmo l’arrivo della guardia giurata, il Mori. Per entrare in banca c’erano due porte da oltrepassare, controllate da un sistema di telecamere che ti permetteva di vedere i due ingressi e di conseguenza le persone che arrivavano. Il tutto stando seduti davanti a un monitor all’interno. Le immagini non venivano registrate. Passarono circa venti minuti prima che Mori giungesse. Io chiacchierai con le donne e l’uomo, cercai di scherzare. Lo feci per tenerli tranquilli. Quando Mori arrivò lo disarmai e lui si prestò al gioco come da accordi. Poco dopo sopraggiunsero gli altri del gruppo: Valerio Fioravanti, Alessandro Alibrandi e Giuseppe Dimitri. Massimo Carminati ci attendeva fuori in auto. Attendemmo l’arrivo dei dipendenti. La cosa divertente fu vedere come le loro espressioni sorridenti e serene nel passare la prima porta, mutassero nel varcare la seconda dove c’eravamo noi ad attenderli. Li perquisimmo tutti e li immobilizzammo con del nastro adesivo. In tutto erano quarantacinque persone. La sola a non subire questo trattamento fu un’impiegata bancaria che era incinta. La facemmo sedere su di una sedia, la tranquillizzammo e le offrimmo dell’acqua. Anche Valerio ricordo che mostrò molto riguardo nei confronti di questa ragazza. Con l’arrivo del direttore e del vicedirettore che avevano le chiavi del caveau potemmo procedere. Ripulimmo completamente il caveau, portando via tutto. L’ammontare del colpo fu di circa cinquecento milioni di lire più un po’ di valuta estera e un mucchio di traveller’s cheques. Questi ultimi successivamente furono in parte recuperati dalla polizia. Tutto filò liscio e abbandonammo la banca per fare ritorno a casa di Valerio. Questa rapina ebbe grossa risonanza anche nel nostro ambiente.

Tratto da: Domenico “Mimmo” Magnetta, Ippolito Edmondo Ferrario, Una vita in Avanguardia Nazionale, Ritter Edizioni


Accadde Domani. 3 luglio 1984. Muore in un conflitto a fuoco con i carabinieri Rodolfo Crovace detto “Mammarosa”

Accadde Domani. 3 luglio 1984. Muore in un conflitto a fuoco con i carabinieri Rodolfo Crovace detto “Mammarosa”

3 luglio 1984. Muore in un conflitto a fuoco con i carabinieri Rodolfo Crovace detto “Mammarosa”.

Anche noi qualche volta ricorremmo ad aiuti esterni, cioè alla squadra di Avanguardia Nazionale che veniva da fuori: era composta numericamente da pochi elementi, ma risultò determinante specie negli scontri con i katanga, diversi dei quali finirono accoltellati. Questo servì a restituirci una certa tranquillità all’interno della scuola: sapevano che noi, benché in pochi, eravamo agguerriti e cattivi. Il periodo di tregua che ne derivò fu breve e illusorio. Le vicissitudini personali e gli arresti ridussero il numero dei componenti di questo nostro supporto esterno. I compagni vennero a saperlo e ci ritrovammo all’interno della scuola sempre più soli. Ripresero dunque a usarci come bersaglio. In questa seconda fase qualche volta fece la sua comparsa, fuori dallo Zappa, Rodolfo Crovace detto “Mammarosa”, figura di spicco in San Babila.
Un giorno la sua apparizione fuori dall’istituto smorzò gli animi dei compagni. Con i loro modi teatrali “Mammarosa” e Mario Di Giovanni iniziarono a passeggiare sotto le finestre dello Zappa, salutandoci e facendo cenni con cui volevano tranquillizzarci perché “c’erano loro”.
Un altro giorno Mammarosa entrò nel bar Celeste, un locale all’angolo tra viale Marche e via Lario, noto ritrovo di compagni. Vi arrivò da solo e si mise al telefono a gettoni. Fece finta di telefonare e fu attento che i presenti sentissero bene le sue parole rivolte all’interlocutore immaginario. Più o meno disse che era al bar Celeste, ritrovo di “comunisti di merda” e che aspettava che uscissero da scuola i camerati. Finì la telefonata dicendo che se qualcuno avesse provato a dare fastidio ai suoi amici avrebbe fatto i conti con lui. Detto questo mostrò con gesto plateale le due pistole che teneva alla cintura. Tra gli avventori del bar calò il gelo. Quel gesto servì a garantirci ancora un po’ di tranquillità, forse qualche settimana. Poi la situazione peggiorò e una mattina che c’era manifestazione fummo costretti ad uscire dall’istituto passando in mezzo a due cordoni di compagni che ci riempirono di sputi, calci e pugni.
Tratto da: Domenico “Mimmo” Magnetta, Ippolito Edmondo Ferrario, Una vita in Avanguardia Nazionale, Ritter Edizioni

 

 

Accadde Domani. 5 giugno 1976. Lo scioglimento di Avanguardia Nazionale e la nascita dell’Avanguardia Nazionale clandestina

Accadde Domani. 5 giugno 1976. Lo scioglimento di Avanguardia Nazionale e la nascita dell’Avanguardia Nazionale clandestina

5 giugno 1976. Lo scioglimento di Avanguardia Nazionale e la nascita dell’Avanguardia Nazionale clandestina

Lo scioglimento di Avanguardia Nazionale risale ufficialmente al 5 giugno del 1976, quando il tribunale di Roma dichiarò illegale il movimento accusando e processando i sessantaquattro imputati alla sbarra per diversi reati, tra cui ricostituzione del partito fascista, atti di violenza politica e terrorismo. Il relativo processo iniziò l’11 dicembre del 1975, dopo che il 25 novembre dello stesso anno era scattata una maxioperazione in tutta Italia che aveva portato all’identificazione e all’arresto di numerosi tra dirigenti e militanti. Tecnicamente, Avanguardia Nazionale avrebbe dovuto cessare di esistere. A Milano dunque rimanevamo in pochi e nell’ombra a tenere in vita il movimento costretto alla clandestinità. Nel resto d’Italia, ma a Roma in particolare, nascevano sempre più iniziative tanto spontanee quanto dannose perché prive di un disegno politico che ne tracciasse la via.

Era una situazione delicata. Per me proseguire la lotta era una necessità imprescindibile. L’avere poi una vita parallela da gestire mi garantiva al contempo anche non poche emozioni. Questa doppia identità mi faceva sentire vivo…Chi invece, in Avanguardia, all’epoca era magari già sposato o aveva addirittura figli, sentiva tutto il peso delle responsabilità e delle azioni che si facevano.

A quel punto, nella mia ottica di soldato politico, le rapine divennero l’unica via possibile per finanziare il movimento.Quando ne parlai con Ballan ricevetti subito una risposta negativa. Mi disse che non potevo pretendere di cambiare e migliorare il mondo passando attraverso azioni delittuose. Non potevo biasimarlo, ma le contingenze in cui ci eravamo venuti a trovare mi suggerivano di non arrendermi.  Accusavo anche stanchezza oltre che rabbia per quella situazione di difficoltà che ci affliggeva. Non vedevo spiragli. Ero consapevole che la mia posizione contravveniva allo spirito originario che aveva sempre animato il movimento, ovvero quello di frenare determinati atteggiamenti nei giovani più irruenti, di non cadere vittime di provocazioni. Lo Stato ci voleva in carcere, i compagni non accennavano ad abbassare il tiro e tra di noi le armi continuavano a girare. Non era più solo questione di detenerle per difenderci, per una semplice questione di sopravvivenza. Io volevo andare oltre.

I miei progetti però non prevedevano un uso delle armi fine a sé stesso come è accaduto con lo spontaneismo dei Nar. Di fronte al “no” di Ballan mi imposi: che a lui piacesse o no, io avrei formato un nucleo di ragazzi per procedere con le rapine e realizzare un movimento rivoluzionario, o perlomeno tentare di farlo… Se non ci fossimo riusciti, ci saremmo accontentati di azioni di testimonianza.

Tratto da: Domenico “Mimmo” Magnetta, Ippolito Edmondo Ferrario, Una vita in Avanguardia Nazionale, Ritter Edizioni

 

Ultima presentazione milanese del libro “Una vita in Avanguardia Nazionale”

Ultima presentazione milanese del libro “Una vita in Avanguardia Nazionale”

Si è tenuta regolarmente il 13 giugno 2019 alle ore 18.00 l’ultima presentazione milanese del libro “Una vita in Avanguardia Nazionale” (Edizioni Ritter),  presso l’Hotel Concorde di Milano.

Di fronte ad un pubblico attento ed interessato, Mimmo Magnetta, Lino Guaglianone e Ippolito Edmondo Ferrario hanno ricordato episodi degli Anni di Piombo e del neofascismo milanese e romano.