da Ippolito Edmondo Ferrario | Apr 2, 2022 | Soldati di Ventura
Giovedì, 31 marzo 2022, Tullio Moneta ci ha lasciato.
Piace ricordare che combatté per due anni i ribelli Simba per conto dell’ONU con il 5 Commando mercenario anglosassone, fino a ricoprire il grado di Maggiore. Come comandante volontario, insieme ad una pattuglia di volontari, quindi non coperti da assicurazione in caso di morte o di ferimento, partecipò alla liberazione di suore, ostaggi dei Simba. Salvò dall’assassinio un ragazzo poliomielitico ed una vecchia congolese, trovati in un villaggio Simba.
Partecipò come vice-comandante del Colonnello Mike Hoare al fallito tentativo di golpe alle Seychelles per riportare nel campo occidentale il governo di quell’isola, che era stato usurpato da un golpe filomarxista.
Tullio Moneta, sotto la “copertura” di attore, ha sempre lavorato per l’”intelligence” occidentale contro quelle dell’Est sovietico, fino alla caduta del Muro di Berlino.
Tornò in Italia per curarsi una ferita alla gamba destra, causata da un attentato alla sua persona. Ha passato i suoi ultimi anni a Macerata, tra un ricovero e l’altro, soffrendo stoicamente fino alla fine, avvenuta nella tarda serata di giovedì 31 marzo nell’ospedale di San Severino Marche.
Tullio Moneta aveva sempre combattuto per la salvaguardia della civiltà occidentale. Aveva in programma di educare alla lotta i giovani su questa strategia, poiché si era accorto che la nostra millenaria civiltà europea era stata tradita. Non si riconosceva, quindi, nella nuova civiltà, imposta da interessi mondiali, che con l’Europa democratica dei popoli europei nulla ha a che vedere. Diceva che alle democrazie popolari sono state imposte “signorie e principati”, non scelte dal popolo. Quindi, pur nel suo piccolo, c’era da fare qualcosa per ristabilire i diritti dei popoli.
Mi chiedeva sempre, non potendolo magari farlo personalmente, di ringraziare per l’aiuto ricevuto in questi ultimi anni i Servizi sociali del Comune di Macerata, le ACLI, l’Ospedale civile di Macerata, la Clinica Marchetti, la Villa dei Pini e l’Istituto Santo Stefano, l’Ospedale Civile di Civitanova Marche, di Treia, di Camerino e di San Severino, dove è deceduto. E la Casa di Riposo di Mogliano, dove aveva vissuto per alcuni mesi. Infine, un saluto affettuoso ai diversi amici che in Italia hanno collaborato con lui, insieme a quelli maceratesi della sua giovinezza e a quelli di recente conoscenza.
31 marzo 2022
Giorgio Rapanelli
da Ippolito Edmondo Ferrario | Dic 23, 2020 | News, Soldati di Ventura
“Noi fratelli d’armi in Africa come pirati”: un libro di Ferrario racconta lo spirito dei mercenari
di Matteo Brunetti, Secolo d’Italia, 20 dicembre 2020
È dal 2009 che Ippolito Edmondo Ferrario, scrittore milanese nato nel ’76, dedica parte delle sue ricerche e della sua creatività alla ricostruzione dell’epopea dei volontari italiani che hanno combattuto in Africa negli anni Sessanta. Giovani, non conformisti, coraggiosi: in molti lasciarono la famiglia, gli affetti e il benessere degli anni del boom per raggiungere il Congo. Erano militari di ventura, professionisti della guerra, che seguendo i loro ideali si ritrovarono a combattere in un paese straniero dilaniato al suo interno da un terribile conflitto armato.
Non erano soldati sanguinari
Per la loro condizione di “soldati di ventura” l’opinione pubblica e il conformismo progressista li ha sempre marchiati con l’appellativo di “les affreux”, ovvero gli orrendi, i terribili, e le loro coraggiose e disinteressate azioni, seppur volte a salvaguardare la vita della popolazione civile, passarono in secondo piano rispetto all’ingiusta fama di soldati sanguinari, fascistoidi e senza scrupoli.
La canzone di Pino Caruso al Bagaglino
“Son morto nel Katanga / venivo da Lucera…” cantava, parlandone al positivo, solo Pino Caruso in un disco inciso nel 1968 dal Bagaglino con parole di Pier Francesco Pingitore, il quale nel suo cabaret aveva avuto modo di conoscere qualche ragazzo reduce da quell’esperienza… Conformismo a parte, infatti, quella stagione è stata comunque celebrata nell’immaginario europeo e occidentale. Nei libri, nel cinema e, con la ballata di Pingitore, anche nella musica popolare. A cominciare da Africa addio, il capolavoro cinematografico di Gualtiero Jacopetti che il regista girò – insieme al suo amico e sodale Franco Prosperi – proprio seguendo i mercenari e osservando in presa diretta le loro imprese.
I film che celebrano i mercenari d’Africa
Oppure ai due film che celebrarono al meglio la figura di “quei” ragazzi in Africa: I quattro dell’Oca selvaggia del 1977 e I mastini della guerra del 1980, entrambi trasposizione cinematografica di due bei libri, il primo di Bob Carney, il secondo di Frederick Forsyth, lo scrittore britannico che dedicava il romanzo anche a Pier Giorgio Norbiato, un eroico italiano soprannominato “le fasciste”.
Il libro di Ferrario: Maktub, Congo-Yemen 1965-1969
Appunto, in tutta questa bibliografia, mancava sinora adeguatamente il ruolo svolto dagli italiani, che pure c’erano e non sono stati pochi. Ed ecco con questo ultimo Maktub. Congo-Yemen 1965-1969 (Edizioni Ritter, pp. 107, euro 24,00), Ferrario a quattro mani con Robert Müller, uno dei protagonisti di quell’epopea, manda in libreria un bellissimo libro in grande formato con tutto il racconto fotografico, passo dopo passo, tanto che il risultato è quasi cinematografico.
Le esperienze raccontate nel libro
Müller, classe ’42, figlio di un soldato della Wehrmacht e di madre italiana, nel ’65 parte alla volta del Congo Belga insieme a Girolamo Simonetti. Catapultati in una realtà cruda e spietata, fatta di massacri tribali, morte e distruzione, diventano presto “fratelli d’armi”, entrando a far parte del leggendario gruppo Paras Cobra. Nel ’68, solo qualche anno dopo, Müller raggiunge il deserto dello Yemen per combattere a fianco dei ribelli realisti sostenuti dall’Arabia Saudita contro i repubblicani filo-sovietici. Il libro curato con Ferrario rievoca e racconta entrambe le esperienze.
Centinaia di foto
Non mancano tra le centinaia di foto, quelle più goliardiche e giovanilistiche. In particolare, c’è n’è una in cui Simonetti e Müller “giocano” a fare i pirati. Commentata da parole dello stesso Simonetti, l’amico romano – forse proprio colui che parlandone al Bagaglino ispirò Pingitore – che era partito con l’Africa insieme a Müller: “Fra tutti i paragoni fatti, quello che mi sento d’accettare come più vicino allo spirito mercenario è quello con i pirati. Pirati all’arrembaggio in un mare ostile di incomprensioni, che necessita della loro presenza, ma li disprezza, in un mare di opportunismi, di accordi al vertice, di materialismo d’ogni colore, di specioso e interessato perbenismo. Pirati del XX secolo, che difendono la loro filibusta con la sciabola in una mano, mentre con l’altra ghermiscono una bottiglia di Rhum e combattono irridendo al nemico, incuranti di tutto e di tutti”.
da Ippolito Edmondo Ferrario | Dic 23, 2020 | News, Soldati di Ventura
Un po’ canaglie, un po’ eroi.I mercenari europei che hanno fatto l’Africa
Un libro fotografico appena uscito narra le gesta dei soldati di ventura bianchi
chiamati in Congo negli anni Sessanta contro la guerriglia marxista dei Simba
Di Adriano Scianca, La Verità, 8 dicembre 2020
«Di giorno in giorno si rafforzava la ripugnanza verso ogni cosa utile. La lettura e i sogni costituivano l’antidoto; ma le regioni in cui era possibile agire sembravano irraggiungibili. Là m’immaginavo un’audace società di uomini, il cui simbolo era il fuoco, il cui elemento era la fiamma. Per essere accolto in essa, o anche solo per conoscere un uomo di fronte al quale provare rispetto, avrei volentieri rinunciato a tutti gli onori che si possono conseguire con una delle tante attività umane». Nel 1913, per «conoscere uomini di fronte ai quali provare rispetto», l’appena diciottenne Ernst Jünger fugge dalla sua famiglia borghese e raggiunge l’Africa, arruolandosi nella Legione straniera. Il racconto tragicomico di quell’avventura giovanile, finita senza eroismi e con un cazziatone paterno, è narrato in Afrikanische Spiele. Anche nei decenni successivi, tuttavia, i giovani europei non hanno cessato di cercare il loro altrove avventuroso, di giocare i loro Ludi africani.
Le loro sono storie semi sconosciute, relegate in note a pie’ pagina nei libri che parlano dei misfatti occidentali nel Continente nero. Giovani di Milano, Amburgo, Anversa, Marsiglia finiti in qualche fossato congolese con un proiettile in testa, senza neanche un trafiletto sul giornale, magari senza neanche una tomba.
A parlarne, e a mostrare i loro volti, arriva ora Maktub, del giornalista e scrittore Ippolito Edmondo Ferrario, edito per i tipi di Ritter. Ferrario, che ha già trattato il tema dei soldati di ventura in altre sue pubblicazioni, raccoglie in Maktub i racconti di Robert Müller, giovane (negli anni Sessanta…) italiano di padre tedesco, ma di fatto milanesissimo.
E infatti l’avventura inizia proprio nella città meneghina, al Bacco, un bar di corso Vercelli. È lì che Robert, un giorno di ottobre del 1965, decide insieme a un amico di lasciare tutto e raggiungere il Congo per arruolarsi con i mercenari. In quegli anni, l’ex colonia belga era in forte agitazione.
Moise Ciombe aveva proclamato l’indipendenza della ricca regione mineraria del Katanga.
In suo soccorso, e in soccorso degli interessi minerari belgi nell’area, intervennero i mercenari europei, schierati contro l’Armée nationale congolaise e le truppe Onu. Ma, in una seconda fase, gli schieramenti si mescolano: Ciombe viene messo alla guida di un governo di unità nazionale, e le unità di mercenari bianchi ed ex gendarmi katanghesi vengono integrate nei reparti dell’Anc, che prima avevano combattuto, contro i ribelli Simba. Quella dei Simba era una rivolta etnosociale animata da un confuso ma fanatico sentimento revanscista.
Scrive Ferrario: «Giovanissimi, per lo più poveri e sbandati, i Simba venivano indottrinati all’odio indiscriminato per tutto ciò che era considerato americano ed europeo, convinti che con l’eliminazione fisica degli avversari avrebbero conquistato quella prosperità e quella ricchezza fino a quel momento negate; dunque l’ostacolo era rappresentato da tutti i bianchi, ma anche da quei congolesi che avevano sposato un modello di vita europeo, specie nelle grandi città.
Un’approssimativa infarinatura ideologica, credenze magico-religiose e il massiccio consumo di droghe furono gli elementi che contraddistinsero le milizie ribelli». È in questa seconda fase della guerra civile che Müller arriva in Congo. «Sui mercenari», racconta l’ex soldato di ventura, «ne hanno dette di tutti i colori. Sono gente priva di scrupoli, avventurieri, ultimi difensori del colonialismo, individui rapaci, crudeli, sanguinari, relitti di idee sorpassate, e chi più ne ha, più ne metta. Ma in realtà, qual è realmente il prototipo del mercenario? […] In fondo, si tratta di giovani muniti di scanzonato coraggio, refrattari a qualsiasi tipo di disciplina che non sia quella imposta da quei due o tre dei loro nei quali si riconoscono e che vengono accettati come capi. Sono degli anticomunisti per vocazione, questo sì.
Per questi svitati, tutto il resto non conta. Gli equilibri internazionali, gli accordi opportunistici tra i vari Stati, le regole: tutta zavorra».
Il libro colleziona ritratti incredibili, come quello, tanto per citarne uno, del corso Roger Bruni: arruolatosi con la Legione straniera a 19 anni, combatte subito a Saigon, poi entra nei paracadutisti coloniali. Si batte eroicamente a Dien Bien Phu, dove viene fatto prigioniero, poi raggiunge l’Algeria e partecipa alla battaglia di Algeri.
Nel 1965 si congeda dall’esercito e si arruola tra i mercenari in Congo. Poi parte per la guerra dello Yemen e infine segue Bob Denard nel golpe alle isole Comore e ancora nel Benin. Muore nel 1980, durante un banale intervento chirurgico.
Non ci si stupisce che Müller, dopo aver combattuto a fianco di gente del genere, fatichi a comprendere coloro che ha lasciato al bar Bacco: «Quando, mesi dopo, sarei rientrato in licenza in Italia, mi sarei reso conto che non avevo più niente in comune con i miei coetanei.
Non un vanto, ma una constatazione. Il Robert di un tempo, il “biondino” che arrivava sempre in ritardo, che giocava a flipper e che indossava pure l’eskimo, era morto, svanito, un giorno, durante il primo rastrellamento compiuto a Stanleyville, vicino all’aeroporto, lungo la cosiddetta “pista degli elefanti”».
Anche coloro che non erano partiti per l’Africa, tuttavia, è probabile che in certe serate strimpellassero gli accordi della celebre canzone del Bagaglino, cantata da Pino Caruso e poi riprodotta in infinite versioni, Il mercenario di Lucera: «Son morto nel Katanga / venivo da Lucera / avevo 40 anni / e la fedina nera…».
Se i racconti del giovane idealista sono emozionanti, il pezzo forte del libro è tuttavia il corposissimo apparato fotografico. Immagini bellissime, dove l’Africa sembra essere davvero quella sognata dal giovane Jünger e a dominarvi emerge veramente «un’audace società di uomini, il cui simbolo era il fuoco».
Giovani sfatti dopo un rastrellamento, in pose goliardiche al campo base, scene di guerra, di morte, di vita, di relax, di gioco. Les affreux, li chiamavano. I terribili. Les affreux . Soldati di ventura in Africa, è anche il titolo di una graphic novel recentemente pubblicata da Ferrogallico, con sceneggiatura sempre di Ippolito Edmondo Ferrario e apparato critico di Alberto Palladino e Franco Nerozzi.
È quest’ultimo a raccontarci l’universo mercenario come «il mondo dell’avventura più straordinaria. Quella dove varchi il limite di ogni sicurezza e ti lanci a capofitto nel seducente mare dell’ignoto. Dove tutto è possibile: morire male, per mano di sanguinari “selvaggi” oppure diventare “re” per qualche giorno, in terre lontane, ancora governate dalla volontà e dal coraggio di chi se le vuole prendere.
È l’avventura che soltanto la guerra ti può dare, con il suo corredo di sentimenti forti, di esaltazione, di fratellanza con chi condivide il tuo impeto e la tua paura». Tornano in mente i versi finali de Il mercenario di Lucera: «Addio verdi colline / ormai scende la notte / i fuochi sono spenti / addio dolci mignotte / con le vostre guepières / ho fatto una bandiera / portatela agli amici / che invecchiano a Lucera. / Viva la morte mia / viva la gioventù».
da Ippolito Edmondo Ferrario | Nov 23, 2020 | Accadde Domani
24 novembre 1964. Inizia l’operazione Dragon Rouge per liberare Stanleyville
L’episodio più significativo legato al loro modus operandi (dei Simba) rimane la presa della città di Stanleyville avvenuta nel settembre del 1964 quando i Simba, dopo aver messo in fuga le truppe dell’ANC, mantennero la città sotto il loro controllo per intere settimane proclamando la Repubblica Popolare del Congo guidata dal presidente Christophe Gbenye. Gli europei presenti a Stanleyville divennero ostaggi. Sotto il comando del sanguinario generale Nicholas Olenga i Simba si diedero ad ogni forma di violenza: stupri, ruberie, sevizie, omicidi. Il monumento presente a Stanleyville e dedicato alla figura del “martire” Lumumba divenne il teatro di uccisioni di massa: qui vennero condotti più di un centinaio di congolesi appartenenti al ceto medio, impiegati, intellettuali, politici, amministratori locali. Tutti vennero fucilati o fatti a pezzi, alcuni mangiati come Sylvestere Bondekwe, responsabile di un movimento politico moderato a cui fu strappato il fegato ancora vivo per essere poi mangiato dai presenti. Stessa sorte toccò al borgomastro Léopold Matabo che venne fatto a pezzi; mentre era ancora vivo e agonizzante le sue carni furono in parte mangiate e in parte destinate al macello. Morì per decapitazione. L’abate Etienne e il segretario provinciale Gabrielle Belette furono scorticati vivi e alcuni dei presenti orinarono addosso ai due oltre a mangiarne la pelle. Scene così si ripeterono per giorni.
La liberazione della città sarebbe giunta solo con l’intervento dei paracadutisti belgi il 24 novembre del 1964 che con l’operazione “Dragon Rouge” posero fine all’incubo per gli europei tenuti in ostaggio. Durante l’arrivo dei parà furono comunque massacrati alcune decine di ostaggi.
Per questa incapacità da parte dell’ANC di ripristinare l’ordine e debellare la piaga dei Simba fu dato il via da parte del governo congolese dell’arruolamento di volontari europei, i soli in grado di contrastare tale minaccia.
Tratto da: Robert Muller, Ippolito Edmondo Ferrario, Maktub. Congo Yemen 1965 1969, Ritter Edizioni.
da Ippolito Edmondo Ferrario | Ott 27, 2020 | Accadde Domani, Soldati di Ventura
28 ottobre 1967. La morte del volontario Guy Leleup
Leleup era un volontario belga, ma nato in Congo. «Guy morì da eroe il 28 ottobre del 1967 durante le ultime fasi dell’assedio di Bukavu. Rimase a proteggere la ritirata dei suoi compagni e cadde prigioniero. Quando il colonello Schramme con altri uomini giunse in suo soccorso, Leleup, mentre era tenuto legato ad un albero, urlò a Scharamme avvisandolo dell’imminente imboscata e permettendogli di salvarsi. Leleup fu ucciso con un colpo di pistola in fronte. Venne poi decapitato e la sua testa infilzata su una baionetta per essere portata come trofeo dai soldati congolesi dell’ANC. Questa è la vera storia della morte di Guy Leleup del Para Groupe Cobra».
Così lo ricorda in alcuni significativi passaggi il colonello Jeanne Scharamme nel suo libro di memorie Il Battaglione Léopard. Ricordi di un africano bianco: «Di tutti i nuovi provenienti dalla 6a brigata quello che mi impressionò maggiormente fu il maresciallo Guy Leleup. Era un giovane idealista che conosceva perfettamente gli indigeni e ne parlava correttamente la lingua. Solitario per natura, era mal compreso dal suo comandante, il maggiore Noddyn. Ragazzi del genere erano l’opposto di ciò che normalmente viene chiamato un “mercenario”. Non poteva andar assolutamente d’accordo con Bob Denard e il suo lavoro non era mai stato apprezzato; ma è risaputo che i caratteri energici e le nature generose si rivelano nelle avversità (…)». Compresi subito che la morte di Leleup era un fatto estremamente grave: perdevo una delle posizioni-chiave ma anche uno dei miei migliori ufficiali, un vero simbolo di ciò che stavamo tentando di salvare in Congo: la fratellanza nelle armi tra bianchi e neri».
Tratto da: Robert Muller, Ippolito Edmondo Ferrario, Maktub. Congo-Yemen 1965/1969, Ritter Edizioni.