da Ippolito Edmondo Ferrario | Nov 23, 2020 | Accadde Domani
24 novembre 1964. Inizia l’operazione Dragon Rouge per liberare Stanleyville
L’episodio più significativo legato al loro modus operandi (dei Simba) rimane la presa della città di Stanleyville avvenuta nel settembre del 1964 quando i Simba, dopo aver messo in fuga le truppe dell’ANC, mantennero la città sotto il loro controllo per intere settimane proclamando la Repubblica Popolare del Congo guidata dal presidente Christophe Gbenye. Gli europei presenti a Stanleyville divennero ostaggi. Sotto il comando del sanguinario generale Nicholas Olenga i Simba si diedero ad ogni forma di violenza: stupri, ruberie, sevizie, omicidi. Il monumento presente a Stanleyville e dedicato alla figura del “martire” Lumumba divenne il teatro di uccisioni di massa: qui vennero condotti più di un centinaio di congolesi appartenenti al ceto medio, impiegati, intellettuali, politici, amministratori locali. Tutti vennero fucilati o fatti a pezzi, alcuni mangiati come Sylvestere Bondekwe, responsabile di un movimento politico moderato a cui fu strappato il fegato ancora vivo per essere poi mangiato dai presenti. Stessa sorte toccò al borgomastro Léopold Matabo che venne fatto a pezzi; mentre era ancora vivo e agonizzante le sue carni furono in parte mangiate e in parte destinate al macello. Morì per decapitazione. L’abate Etienne e il segretario provinciale Gabrielle Belette furono scorticati vivi e alcuni dei presenti orinarono addosso ai due oltre a mangiarne la pelle. Scene così si ripeterono per giorni.
La liberazione della città sarebbe giunta solo con l’intervento dei paracadutisti belgi il 24 novembre del 1964 che con l’operazione “Dragon Rouge” posero fine all’incubo per gli europei tenuti in ostaggio. Durante l’arrivo dei parà furono comunque massacrati alcune decine di ostaggi.
Per questa incapacità da parte dell’ANC di ripristinare l’ordine e debellare la piaga dei Simba fu dato il via da parte del governo congolese dell’arruolamento di volontari europei, i soli in grado di contrastare tale minaccia.
Tratto da: Robert Muller, Ippolito Edmondo Ferrario, Maktub. Congo Yemen 1965 1969, Ritter Edizioni.
da Ippolito Edmondo Ferrario | Ott 22, 2020 | Soldati di Ventura
Italo Zambon è stato uno dei volontari italiani più conosciuti e apprezzati. Veneziano, già parà della Folgore, operò prima nella zona di Paulis e successivamente, alla fine del marzo 1965, insieme al volontario Jean-Claude Laponterique (proveniente dal 11e Régiment Parachutiste de Choc di stanza a Calvi) fu aggregato al 1er CHOC guidato da Bob Denard; qui venne inserito nel gruppo comandato da Roger Bruni e denominato Charly One. L’altro solo italiano presente era Carlo Chiesa, proveniente dai ranghi della Legione Straniera. Zambon si guadagnò il soprannome di “orecchiofino” per la sua capacità in pattuglia di percepire i movimenti dei ribelli ed evitare di cadere nelle loro imboscate. Prima di giungere in Congo aveva viaggiato moltissimo, spesso con mezzi di fortuna, raggiungendo il Nord Africa e attraversando il deserto con le carovane. Zambon troverà la morte durante le ultime fasi dell’assedio della città di Bukavu il 29 ottobre 1967, durante uno degli attacchi più violenti condotti dalle truppe dell’ANC. Nel suo libro Il battaglione Léopard Jean Schramme ricorda le ultime concitate fasi dell’assedio della città: «Baka non avrebbe potuto essere raggiunta. Al calare della notte la 4a compagnia sarebbe stata obbligata a sganciarsi verso la posizione Venus. Anche il mio commando fu obbligato a indietreggiare e recuperammo le mitragliatrici e il cannone delle jeeps. Al mio fianco, Italo Zambon fu letteralmente tagliato in due da una raffica di mitragliatrice pesante. Era il migliore dei nostri volontari italiani». E ancora il volontario francese Jean-Claude Laponterique lo ricorda con affetto: «In combattimento Italo era una persona di cui ti potevi fidare. Nei momenti liberi era estremamente simpatico e faceva ridere per quel suo strano accento con cui parlava il francese. Era sempre pronto ad aiutare le persone che abbiamo salvato dai ribelli. Quando mi sono congedato e ci siamo ritrovati insieme a Parigi mi ha chiesto se fossi disposto a ritornare in Congo. Io gli dissi di no, per me l’avventura era terminata. Ormai i ribelli erano stati debellati ad eccezione di poche zone residue. Lui partì nuovamente. Tempo dopo venni a sapere della sua fine. Sono certo che è morto in quella terra che amava più di tutto».
(Foto J.C.L.)
da Ippolito Edmondo Ferrario | Ott 22, 2020 | Accadde Domani
21 ottobre 1981. Un commando armato formato Alessandro Alibrandi, Francesca Mambro, Gilberto Cavallini, Giorgio Vale, Stefano Soderini, Walter Sordi uccide il capitano di P.S. Francesco Straullu e la guardia scelta Ciriaco Di Roma. Mimmo Magnetta ricorda l’incontro con il capitano Straullu che ha coordinato il suo arresto al valico del Gaggiolo
Il mio percorso carcerario, dopo l’arresto, è riassumibile nelle seguenti tappe. I primi due giorni li trascorsi a Varese in camera di sicurezza, poi ne trascorsi cinque a Roma, sempre in camera di sicurezza. Al mio arrivo a Roma c’era ad accogliermi il capitano di P.S. Francesco Straullu. So che in cambio della collaborazione Straullu aveva offerto ad altri la cifra di trecento milioni di lire e una nuova identità. Con me e con Dimitri non accennò mai a eventuali prospettive di collaborazione. Appena scesi dalla macchina che mi aveva portato dalla questura di Varese a Roma, lui volle vedermi. Io ero scortato da due poliziotti. Mi venne incontro con modi affabili chiedendomi se gli concedevo l’onore di stringergli la mano. Era un uomo giovane, non molto alto. Vestiva in borghese, indossava una maglietta polo, un golf arrotolato in vita e jeans. Dalle tasche spuntava arrotolata una copia de “Il Manifesto”. Io gli chiesi chi fosse. Lui si presentò come il capitano Straullu, colui che aveva coordinato l’operazione che aveva portato al mio arresto. Io gli risposi con un “complimenti”. Poi insistette nel volermi stringere la mano e gli chiesi il motivo.
– Tu e il tuo amico Peppe Dimitri siete gli unici della banda dei Nar che sapete perché fate certe cose. Agli altri vostri camerati bisogna dare uno schiaffo per parlare e due per farli stare zitti.
Gli diedi la mano. Era un po’ come ricevere l’onore delle armi. Lui si accorse dei segni che portavo in volto, frutto del trattamento ricevuto a Varese una volta tratto in arresto. Lo stesso procuratore di Varese, giorni prima, alla presenza dei sette operatori di polizia che mi avevano menato, mi aveva invitato a parlare e a fare i nomi degli agenti che mi avevano pestato.
– In questa stanza l’unico a non dover avere paura sono io… – risposi al procuratore.
Gli agenti erano in piedi, messi a semicerchio intorno a me. Sentivo il loro fiato sul collo. Li avevo guardati uno per uno e poi, rivolgendomi al Procuratore, avevo dichiarato, come si usava, che ero caduto dalle scale. Era evidente che non poteva essere andata così, ma, come era regola mia e degli avanguardisti, non avevo parlato. Firmata la dichiarazione venni portato fuori dalla stanza. Qui uno dei poliziotti mi disse:
– Mimmo, ti dobbiamo delle scuse. Ci devi scusare…
Io li mandai affanculo, gli dissi di riportarmi in cella e che delle loro scuse me ne fregavo.
Straullu con me fu gentile. In quei cinque giorni che rimasi in cella di sicurezza a Roma in questura, dato che fin dal primo momento dell’arresto non avevo toccato cibo, mi fece arrivare parecchie cose extra da mangiare: maritozzi con la panna, spremute d’arancia e altro. Io continuai però a non toccare cibo.
Tratto da: Domenico “Mimmo” Magnetta, Ippolito Edmondo Ferrario, Una vita in Avanguardia Nazionale, Ritter Edizioni
da Ippolito Edmondo Ferrario | Ott 18, 2020 | Soldati di Ventura
Pubblico qui di seguito, con immenso piacere, il messaggio giuntomi sabato 17 ottobre 2020 dal nipote di Enzo Varani che ha acquistato per caso il libro “Maktub Congo-Yemen 1965/1969”. Le sue parole ripagano Robert ed il sottoscritto di tutto l’impegno speso nella stesura del libro.
A volte gli avvenimenti sembrano accadere per caso, ma il caso non è mai causale, ti aspetta o si fa aspettare e prima o poi si presenta e provoca emozioni. Ho visto un post di Ippolito Edmondo Ferrario sulla presentazione di un suo nuovo libro “Maktub”, un insieme di racconti e fotografie di un posto lontano che tra il 1960 e il 1965 ha attraversato una grande instabilità politica con un susseguirsi di rivolte armate, il Congo. L’istinto mi ha portato ad acquistarlo, mia madre lo sfoglia e ad un certo punto si emoziona e urla “Papà” dicendo di averlo riconosciuto dalla posa. Come mio nonno ci sia finito e perché , non sono mai riuscito a farmelo spiegare da nessuno. Mia nonna mi racconta che lo ha fatto per il suo grande spirito avventuriero (Legionario in Indocina, minatore in Belgio, mercenario in Congo e poi chissà dove…). Nemmeno due figlie piccole e un figlio in arrivo riuscirono a desisterlo dalla sete di avventura e dai soldi “facili” e chissà cos’altro. Cit”…Pirati all’arrembaggio in un mare ostile di incomprensioni, che necessita della loro presenza, ma li disprezza, un mare di opportunismi, di accordi al vertice, di materialismo d’ogni colore, di specioso ed interessato perbenismo. Pirati del XX secolo, che difendono la loro filibusta con la sciabola in una mano, mentre con l’altra ghermiscono una bottiglia di Rhum (o di una Primus in questo caso) e combattono irridendo al nemico, incuranti di tutto e di tutti”. scrisse Nony. Non so se mio nonno si sentisse così, un pirata in cerca del tesoro, ma ho capito che di quel “tesoro” una parte non tornò con lui mentre con l’altra, appena tornato in Italia, comprò una casa per la sua famiglia ed aprì un’osteria diventata poi ristorante. In fondo forse era questo il “tesoro” che cercava. Da lì a poco, dopo tanto rumore, purtroppo, se ne andò in una notte, in silenzio, quando anche il cuore decise di starsene in silenzioso giusto il tempo di riuscire a compiere qualche battito in una vita “normale e tranquilla” che forse in fondo non era fatta per lui, ma provando a darla a chi voleva bene. Ciao nonno, salutami zio.
In ricordo del Maresciallo Enzo Varani
Ascoli Piceno 15/02/1930
Ascoli Piceno 5/2/1978
Qui sotto la foto di gruppo che ritrae Varani insieme ai suoi commilitoni.
SUCRAF. Da sinistra a destra: il Maresciallo Varani (marchigiano, dopo il Congo fece fortuna vendendo pappagalli in giro per l’Europa ad appassionati di animali esotici), Girolamo “Nony” Simonetti, l’italo-argentino Ciccodicola (una volta tornato a casa uccise la moglie a martellate), Benigno Murgia (originario di Carbonia, dopo aver lavorato per un periodo in una miniera di carbone in Belgio si era arruolato tra le fila dei volontari in Congo), Robert Müller. Alla SUCRAF i volontari Varani, Ciccodicola e Murgia, comandanti dal maggiore polacco Topor, erano di stanza a protezione dello stabilimento.
da Ippolito Edmondo Ferrario | Ott 9, 2020 | Accadde Domani
11 ottobre 1971. I neofascisti della Fenice si scontrano davanti al al liceo Manzoni di Milano con militanti dell’estrema sinistra
Pochi mesi dopo, l’11 ottobre dello stesso anno, insieme ad altri camerati mi ritrovai nuovamente coinvolto in pesanti scontri in strada. Avevamo da poco terminato un volantinaggio presso l’Università Cattolica di Milano. Ci dirigemmo a piedi verso via Torino e arrivammo nei pressi del Carrobbio. Probabilmente avevamo ancora sottobraccio dei volantini o qualche copia dei nostri giornali. Questo materiale ci fece identificare facilmente come fascisti. Incontrammo sulla strada degli appartenenti al movimento studentesco. Eravamo in diversi: oltre a me, Marco De Amici, Benedetto Tusa (mio futuro avvocato), Pietro Battiston e Carlo Lovati. Scoppiò una rissa violenta. Alcuni di noi erano armati di coltelli e taglierini. Lo scontro fu più verbale che fisico, ma eravamo in netta minoranza e la situazione stava volgendo al peggio. Ad un certo punto pensammo di rifugiarci all’interno del liceo classico Manzoni che era lì vicino e dove la polizia venne poi a prenderci per arrestarci. Marco De Amici non riuscì a riparare all’interno del liceo e lì fuori venne aggredito restando ferito. Questo episodio è sintomatico del clima di odio instaurato nei confronti dei neofascisti.
Giancarlo Rognoni, Ippolito Edmondo Ferrario, La Fenice. Una testimonianza del neofascismo milanese, Ritter Edizioni