Accadde domani. 21 dicembre 1990. Nasce il Fronte Nazionale

Accadde domani. 21 dicembre 1990. Nasce il Fronte Nazionale

Accadde domani. 21 dicembre 1990. Nasce il Fronte Nazionale

Il Fronte Nazionale vede così la luce il 21 dicembre del 1990, nel giorno del Solstizio d’Inverno a Milano e viene poi ufficializzato tramite regolare atto notarile il 12 gennaio del 1991 in quel di Ferrara alla presenza di Freda, di Enzo Campagna, Antonio Sisti, Ferdinando Alberti, Aldo Gaiba.

Ci si adopera per organizzare la struttura sul territorio nazionale con delle proprie sedi. A Milano la sede è posta in via Bergamo al civico 12. C’è anche

una sede a Verona e referenti a Torino, Varese, Brescia, Ferrara, Padova, Pordenone, Bologna, Rimini, Terni, Chieti, Napoli, Salerno, Taranto, Catanzaro, Lamezia Terme, Perugia, Catania e Battipaglia.

Un ruolo fondamentale lo hanno anche le Edizioni di AR, la casa editrice di Freda la cui sede corrisponde all’abitazione di Freda a Casale di Brindisi, mentre libreria e magazzino sono a Salerno.

«La struttura nacque fortemente gerarchizzata come giustamente doveva essere.

Freda ne era il reggente. Aderii al progetto di Freda perché lo ritenevo interessante e inoltre il mio senso del dovere unito alla stima che nutrivo per lui, mi imponevano di farlo. Una persona a me cara, commentando la mia decisione, mi disse che comprendeva le mie intime ragioni ma che certamente, visto il nome di Freda e il mio, prima o poi ci avrebbero arrestato di nuovo. Così fu.

Rimasi in carcere per sei mesi, e dopo la condanna feci un anno e due mesi di arresti domiciliari. Naturalmente non ebbi né semilibertà, né affidamento ai servizi sociali».

Susanna Dolci, Ippolito Edmondo Ferrario, Cesare Ferri. Genesi di un ribelle, Edizioni Settimo Sigillo

Accadde Domani. 12 ottobre 1979. La seconda rapina del Nucleo Economico di Avanguardia Nazionale

Accadde Domani. 12 ottobre 1979. La seconda rapina del Nucleo Economico di Avanguardia Nazionale

2 ottobre 1979. La seconda rapina del Nucleo Economico di Avanguardia Nazionale

La prima rapina, al di là della disavventura col cassiere, si concluse positivamente. Eravamo pronti per il secondo colpo: l’agenzia N. 1 del Banco di Roma in via XX settembre di fronte al Ministero del Tesoro. Decidemmo di procedere il giorno successivo, il 12 ottobre 1979.

Dimitri ed un altro si preoccuparono di neutralizzare la guardia giurata che aveva l’abitudine di starsene comodamente a leggere il giornale seduto in auto davanti alla banca. I due si avvicinarono passando inosservati. Spacciandosi per turisti gli mostrarono un cartello sul quale c’era scritto: “Questa è una rapina, non ti muovere”. Lo stratagemma funzionò. Dopo averlo disarmato salirono sulla macchina e lo portarono con loro in zona Villa Borghese per circa mezz’ora. Nel frattempo Alibrandi ed io, con le chiavi dateci da un altro basista addetto alle pulizie, entrammo dall’ingresso riservato ai dipendenti. A quell’ora l’agenzia era chiusa al pubblico, c’era solo il personale. Cominciammo a prendere i soldi nei cassetti e nelle casseforti che stavano dietro gli sportelli. Quello però a cui miravamo era il caveau e il suo contenuto. Mi rivolsi ad un vicedirettore per avere le chiavi del caveau. Costui iniziò a prendere tempo. Diceva che oltre alle sue ci volevano altre chiavi che in quel momento non erano nella filiale. Persi la pazienza e lo invitai a slacciare la cintura dei pantaloni. Lui non capì che cosa volessi fare. Gli mostrai la bomba a mano che avevo con me. Gli dissi che avrei tolto la sicura e gliela avrei messa nelle mutande. La minaccia sortì l’effetto desiderato. Il vicedirettore si precipitò per accompagnarmi nel caveau…

Tratto da: Domenico “Mimmo” Magnetta, Ippolito Edmondo Ferrario, Una vita in Avanguardia Nazionale, Ritter Edizioni

 

Accadde domani. 5 settembre 1974. Cesare Ferri si consegna per entrare in carcere

Accadde domani. 5 settembre 1974. Cesare Ferri si consegna per entrare in carcere

5 settembre 1974. Cesare Ferri si consegna per entrare in carcere.

La fine di agosto si avvicina. Mentre è al mare apprende da un quotidiano di essere ricercato. L’articolo è inequivocabile. I giudici lo vogliono arrestare perché lo ritengono autore dell’attentato firmato dalle Sam alla sede del Psi di via Crescenzago, attentato nel quale lui non c’entra. Naturalmente il profilo di Cesare Ferri che compare sul giornale non è dei migliori. Inevitabilmente pensa a quello che hanno già scritto di Giancarlo,
e capisce d’essere l’uomo perfetto da accusare soprattutto da morto. Sceglie quindi di tornare a Milano e si prepara a costituirsi per difendersi.
«Decisi di tornare principalmente per l’accusa infamante di essere uno stragista. Non potevo tollerare che me la cucissero addosso. Oltre al fatto che ero certo che si stesse cercando di farmi fare la fine di Giancarlo».
Ferri si incontra con il suo legale e poi con i camerati. Sente che è il momento dei saluti, il carcere lo attende. È il 5 settembre del 1974 quando fa il suo ingresso a San Vittore. Inizia così un lungo iter giudiziario diviso su più fronti processuali.
«Quando si celebrò il processo contro Loi e Murelli anch’io fui presente insieme ad altri camerati. Ero dentro per l’attentato in via Crescenzago alla sede del Partito Socialista Italiano. Il giorno della lettura della sentenza pronunciata dalla Corte di Assise ero in aula ad assistere in quanto coimputato per resistenza a pubblico ufficiale e adunata sediziosa. Eravamo tutti insieme. Fu lì che accogliemmo la lettura della condanna con il Sieg Heil gridato in aula e accompagnato dal saluto nazionalsocialista. Un gesto che rimase impresso nella memoria di molti. Nei giorni del processo si verificarono diversi episodi, tra cui il mio alterco con Rea che allora dirigeva l’Ufficio Po litico della Questura. Lo sfidai a duello e lui sbiancò…Ma andiamo avanti… Mentre ero detenuto per le Sam, mi arrivò l’indizio di reato per tutti gli attentati compiuti in Alta Italia dal 1969 al 1974, come ho scritto in ‘San Babila la nostra trincea’. Poi mi spiccarono il mandato di cattura per il Mar di Carlo Fumagalli e per Ordine Nero. Fui condannato per l’attentato di via Crescenzago a due anni e due mesi. Successivamente fui indiziato come esecutore della strage di Brescia. Per quest’ultima venni sottoposto a interrogatori che duravano
una media di dieci ore. Si svolgevano in presenza in genere di due o tre pubblici ministeri, un giudice istruttore e sei o sette avvocati di parte civile. Al termine del primo interrogatorio a Brescia ricordo che tornai
in cella e senza neppure svestirmi, mi sdraiai così com’ero e mi addormentai esausto. Era solo l’inizio del mio periodo di detenzione che sarebbe durato fino al 1978.

Tratto da: Susanna Dolci, Ippolito Edmondo Ferrario, Cesare Ferri. Genesi di un ribelle, Edizioni Settimo Sigillo

 

 

Accadde domani. 17 agosto 1973, l’arresto di Rognoni in Svizzera

Accadde domani. 17 agosto 1973, l’arresto di Rognoni in Svizzera

17 agosto 1973, l’ arresto di Rognoni in Svizzera.

Dopo quei giorni di colloqui e di incontri, Anna ed io decidemmo di partire per la Spagna. Utilizzammo l’auto con cui lei mi aveva raggiunto e partimmo insieme ad una comune amica che l’aveva accompagnata in Svizzera. Alla frontiera con la Francia fummo fermati. Probabilmente erano stati informati dei nostri spostamenti. Carlo Maria Maggi fece delle illazioni su qualcuno che era informato della nostra presenza e che avrebbe potuto segnalarci, ma mi sento di respingere l’ipotesi di una soffiata. La polizia svizzera mi arrestò il 17 agosto 1973, su richiesta di estradizione pervenuta dall’Italia. Rimasi in carcere a Ginevra alcuni mesi. Ricordo solo che era un carcere molto diverso da quelli italiani; non era particolarmente affollato e la maggior parte dei detenuti erano piccoli malfattori. Forse i soggetti più particolari erano due: io stesso ed un sospetto terrorista arabo legato a non so quale attentato. Ricordo che costui si premurò di farmi avere in carcere una copia del Corano in francese. Dopo quella detenzione fui messo in libertà provvisoria dalle autorità elvetiche e restai lì per altri cinque o sei mesi, in attesa della decisione sull’eventuale estradizione in Italia.
Si svolse un procedimento a mio carico in Svizzera. A difendermi ci sarebbe stato un avvocato d’ufficio.
Ricordo che il magistrato mi rassicurò sul fatto che il difensore d’ufficio non sarebbe stato un ripiego, poiché all’epoca in Svizzera (non so se oggi sia ancora così) all’inizio della carriera gli avvocati dovevano professare come avvocati d’ufficio prima di accedere liberamente alla professione. Mi rassicurò quindi sul difensore che mi sarebbe stato assegnato.
Nonostante queste garanzie ricorsi ai miei contatti. Venne in mio soccorso il banchiere François Genoud, con il quale ero stato messo in contatto da Gaston Armand Amaudruz che dirigeva una rivista culturale svizzera vicina alle nostre posizioni.

Tratto da: Giancarlo Rognoni, Ippolito Edmondo Ferrario, La Fenice. Una testimonianza del neofascismo milanese, Ritter Edizioni

 

 

La Fenice. Da oggi in libreria

La Fenice. Da oggi in libreria

La Fenice. Una testimonianza del neofascismo milanese

Un libro di Giancarlo Rognoni e Ippolito Edmondo Ferrario, Ritter Edizioni

“In quegli anni la militanza ci imponeva di misurarci quotidianamente con
situazioni di violenza fisica, perché la violenza era all’ordine del giorno. Lo
scontro fisico, lieve o pesante che fosse, era la normalità per chi faceva politica.
Rappresentando una minoranza, noi neofascisti avevamo la vita non facile.
Più volte durante le manifestazioni partecipammo ad aspri scontri, ma i problemi
non si limitavano a queste situazioni. Si diventava dei possibili bersagli
dal momento in cui si usciva di casa fino a quando non si rientrava.
Fu quindi necessario attrezzarci per sopravvivere. È un dato evidente che
la cosiddetta “caccia al fascista” era una pratica abitualmente perpetrata a cominciare
dalle scuole e nelle strade. Di conseguenza ci organizzammo per
rispondere a questa violenza con altrettanta violenza”.

G.Rognoni

Ritter Editore, 2020
168 pagine + 16 di foto a colori
20 euro
www.ritteredizioni.com