Quel 31 dicembre 1968 nel deserto dello Yemen
Il mio migliore augurio per lasciarci alle spalle questo infausto 2020 e affrontare a testa alta l’anno che verrà.
Ippolito
Il 31 dicembre
eravamo ancora in pieno deserto e puntavamo
sempre a nord. Avevamo l’impressione di esserci persi
in quel mare di sabbia, così affascinante, misterioso
e volubile per le dune che cambiavano altezza e posizione
a seconda della direzione del vento. la sabbia si
infilava ovunque, malgrado i fazzoletti che tenevamo
sulla bocca e gli occhiali che proteggevano gli occhi.
In quel paesaggio incredibile a un certo punto cominciammo
a vedere delle ossa bianche che affioravano
lungo la pista. Ci fermammo. Ce n’erano tantissime
per qualche centinaio di metri: ossa, teschi ma
anche scarponi. Trovammo anche i brandelli di un
paracadute, mimetiche e un elmetto russo. era l’equipaggiamento
in dotazione alle truppe egiziane inviate
da nasser. I teschi erano moltissimi. non so
quanti potessero essere i morti lì presenti. giacevano
insepolti o sepolti grazie alla «pietà» del deserto.
Questa volta non facemmo come in Congo, dove avevamo
preso dei teschi per adornare le jeep e i camion.
Robert Muller, paracadutista, volontario di guerra
R.Muller, I.E. Ferrario, “Un parà in Congo e Yemen 1965, 1969”, Mursia