da Ippolito Edmondo Ferrario | Feb 7, 2018 | News
Il Serial killer che è in noi
Ippolito Edmondo Ferrario
Secolo d’Italia, 13 giugno 2006
Intervista a 360 gradi con Andrea G. Pinketts, in occasione dell’uscita del suo ultimo romanzo “Ho fatto giardino”, da oggi in tute le librerie. Tra cronaca, delitti quasi perfetti e politica.
“Quando Michael Jackson era ancora nero io ero ancora bianco…..”. Comincia così “Ho fatto Giardino” l’ultimo romanzo dello scrittore Andrea G. Pinketts da oggi in tutte le librerie (Mondadori, pp.348, euro 16). Lui è il deus ex machina, o senza macchina (visto che la patente gli è stata ritirata), del noir italiano, la Tigre della Malesia in trasferta al Giambellino, il Serpico delle indagini giornalistiche. Lo abbiamo incontrato allo Smooth, il celebre locale di via Buonarroti a Milano che Pinketts ha eletto a sua seconda dimora. Andrea, seduto ad uno dei tavolini, circondato da bulli e pupe, mi accoglie lanciandomi sguardi da veterano di una cruenta guerra alla quale è sopravvissuto e di cui mostra orgoglioso le cicatrici. Camicia fantasia con pin-up disegnate , cravatta gialla, cappellino da pescatore color canarino, pantaloni blu con patta aperta e scarpe di pelle bianca…. Pinketts è una specie di Banana Joe. Quando arrivo mi saluta romanamente e mi presenta ai camerieri come…. Il Secolo d’Italia in persona. Poi la chiacchierata con lui entra subito nel vivo, tra un sorso di birra ed un toscano…..
Il noir è davvero tra noi. Non credi? La cronaca gronda sangue da tutte le parti: sembrerebbe che i fatti di cronaca nera, soprattutto in ambito familiare e che coinvolgono i bambini, siano in aumento. A chi imputi questa escalation di violenza e chi potrebbe essere il responsabile?
Gli assassini ed i serial killer esistono fin dalla notte dei tempi. Non è stato scoperto nulla di nuovo. Euripide con la sua Medea già ne parlava secoli fa. Certamente i mezzi di informazione amplificano le notizie, dandone una rilevanza che prima non avevano.
E’ solo questione di informazione?
Sì, in un caso e nell’altro. Si verificano anche situazioni in cui il fatto di sangue viene in qualche modo stemperato prima di diventare di pubblico dominio. Ciò quando avviene in alcune realtà più o meno omertose.
Un bene o un male?
A volte è anche un bene. Io, comunque, fino alla prova di colpevolezza, non sono per il buttare il mostro in prima pagina.
E parlaci ora del tuo nuovo libro, a cominciare dal titolo. Che cosa significa?
“Ho fatto giardino” è una mossa che nel gioco del poker non esiste e che sconsiglio ai principianti di mettere in pratica; essa consiste nel bluff assoluto, alla quale ricorrere quando in mano non hai una carta uguale e i tuoi titanici avversari sono pronti a farti fuori. Ecco che allora “fare giardino” è l’unica mossa per diventare un iceberg e affondarli.
Dove è ambientata la storia?
Tra Milano e Saint-Tropez, ma soprattutto a Milano, in una città in pieno decadimento, divorata e dilaniata dalle boutiques, sempre più in vetrina e quanto mai plastificata. In pratica un plastico di città. Una città, per dirla alla Califano dove “La musica è finita, gli amici se ne vanno….”. Quindi fare giardino nel mio libro vuol dire creare una nuova vegetazione in una metropoli che è condannata ad essere priva. L’unica erba infatti che cresce a Milano è al Parco Sempione, ai giardini pubblici o… nelle canne, E purtroppo, spesso, una cosa non esclude l’altra.
Ma è un romanzo ecologista?
Non esattamente, non ho propensioni buoniste. Da bambino anch’io andavo ai giardinetti a giocare e così ho deciso di riprendere il gioco nella sua forma più estrema per l’ultima puntata di Lazzaro Santandrea, protagonista della storia e perdente di successo.
In “Ho fatto giordino” affronti anche il problema della droga…..
Io sono contrario, preferisco il whisky. E tendenzialmente sono solo a favore della fantomatica Bumba, sostanza che ho inventato per questo romanzo, ma che non si sa se esista effettivamente, almeno fino alla fine del libro. La Bumba, paragonabile alla leggenda metropolitana dei coccodrilli albini nelle fogne di New York, nel libro diventa una sorta di Graal, ma non vorrei essere accomunato a quell’altro scrittore di cui si parla oggi… James Brown. Giusto? Dunque la Bumba è sostanzialmente un contenitore vuoto…..
E’ l’ultima volta che utilizzerai il personaggio di Lazzaro Santandrea, il tuo alter ego?
Lazzaro è morto e resuscitato più volte e ciò fa parte del suo destino, continuare a resuscitare. Questa volta però sarà l’ultima e voglio consegnarlo vivo all’eternità. Non vorrei che fra qualche anno un pirla qualunque lo riadattasse alla sua scrittura profana per farlo rivivere.
Chi è in realtà il detective Lazzaro Santandera?
Lazzaro è sacro e profano, un avventuriero della vita, un detective che indaga su quell’enorme mistero che si chiama esistenza. E ancora è un filosofo da quattro soldi, che è sempre un punto in più de L’opera di tre soldi di Bertolt Brecht.
Il libro è dedicato a qualcuno in particolare?
A Gianfranco Micucci, ex sindaco di Cattolica, compianto galantuomo dall’intelligenza irrequieta. Fu lui nel 1992 a farmi eleggere Detective comunale con il titolo di Sceriffo, dando uno schiaffo morale, e non solo, alle ingerenze camorristiche che si stavano verificando e alla disattenzione di chi avrebbe dovuto occuparsene.
In alcuni tuoi libri è evidente un tuo interesse per l’argomento religioso. Che rapporto hai con la religione?
Ti posso dire però che di questo mio ultimo romanzo ho mandato le bozze in anteprima al Papa per avere la sua approvazione.
E lui?
Non avendo avuta risposta sono forte del fatto che chi tace acconsente. Quindi è un romanzo della Madonna! Io poi ho una grande simpatia per il Dio biblico e per il suo lato etilico. Dopo il diluvio universale, una volta toccata la terra ferma, Noè si preoccupò di piantare una vigna, cominciando a produrre vino. Ecco perché il bar è anche il mio ufficio….
Torniamo all’attualità. Il problema criminalità è sempre al centro di numerosi dibattiti. Che cosa farebbe Pinketts Ministro dell’Interno?
Dubito che possano eleggermi, ma credo che la prevenzione sia la migliore cura. Punterei dunque di più sull’intelligence nonostante io sia un uomo d’azione; quest’ultima che deve essere sempre meditata, mai ottusa. La prima regola per opporsi alla criminalità è una grande elasticità mentale coordinata da un decisionismo meditato.
Credi che sull’onda delle cronache quotidiane, il genere noir stia vivendo in Italia una seconda giovinezza?
Il noir è lo specchio della società. Attualmente è un genere quasi inflazionato, è un genere-non genere. I miei noir sono infatti “degeneri”. Sicuramente è un o specchio di acque torbide in cui anche Narciso si vede brutto, ma è giusto che sia tale.
Andiamo alla politica. Chi getti dalla torre?
Prodi. Perché rimbalza.
Cosa pensi dello scandalo del calcio?
E’ la cronaca di uno scandalo annunciato. Io ho sempre preferito il rugby.
Progetti letterari per il futuro?
Diversi. Sto lavorando con Massimo Gatti, fotografo e imprenditore, a un nuovo personaggio, un ex-monaco benedettino inspiegabilmente trapiantato per un incidente temporale nel presente.
Puoi darcene un’anticipazione?
Si chiama Benedetto Dalla Doccia e il suo scopo è redimere affettuosamente una strega, facendo al tempo stesso piazza pulita dell’inquisizione e del male che genera.
Dove andrai in vacanza quest’anno?
Quando le saracinesche chiudono per ferie, le persone vanno in vacanza e James Bond va in missione…. Io vado in tournée.
Il Secolo d’Italia, 13 giugno 2006
Il Secolo d’Italia, 13 giugno 2006
da Ippolito Edmondo Ferrario | Feb 7, 2018 | News
Mercenario e me ne vanto
Ippolito Edmondo Ferrario
Secolo d’Italia
13 luglio 2006
Nulla è più bello dell’uomo quando avanza. Il soldato che esce dalle file e si dichiara volontario. Il torero che si strappa fuori dal burladero, scaccia i suoi peones e si spiega la cappa. E l’immagine ingenua del cow boy che entra nel saloon, fende l’adunanza pietrificata e si dirige verso il bar. Tutto scricchiola nel cuore degli altri uomini quando uno di loro si fa avanti di due passi, si stacca dalla fila e così foggia intorno a sé una barriera invarcabile di rispetto. Le madri e le fidanzate supplicano e non capiscono che possono avere per rivale la morte. “Non farti avanti! Torna indietro!”. Troppo tardi. Il figlio o l’amante ha udito l’incredibile appello di un altro amore e volge verso le donne un viso d’ombra, uno sguardo vuoto. “Non ci conosce più” urla la madre. È vero. Lui non è più lo stesso, da quando si è fatto avanti. Non ha più un passato. Donne, vi è straniero perché egli ha scelto di nascere una seconda volta ed è uscito, in quell’istante, da se stesso e non dalle vostre viscere. L’eroismo: selvaggia creazione di sé a opera di se stesso, dell’uomo a opera dell’uomo. Così scriveva lo scrittore francese Jean Cau nel suo “Il cavaliere la morte il diavolo” (Ciarrapico Editore, 1985) cogliendo lo spirito più autentico del guerriero, di colui che al di là delle bandiere, abbandona le certezze del vivere quotidiano per andare incontro ad un destino incerto, che presagisce come foriero di morte, ma al quale non può resistere. Questo atteggiamento inconscio, dominato dall’oscuro fascino esercitato dalla signora con la falce, è lo stesso ispirò il romanzo di Daniel Carney “I Quattro dell’oca selvaggia”, pubblicato nel 1977. Cambiano gli scenari, alla spada e all’usbergo del cavaliere di Cau, si preferiscono bombe a mano e mitra, e si va a “cercar la bella morte”, possibilmente lontano da casa. Questi combattenti di ogni epoca e di ogni campo di battaglia rifuggono la vita borghese, l’illusione di poter sfuggire al destino mettendosi al sicuro; il solo modo che hanno per vivere è quello di non fermarsi mai, di non mettere radici. Gli stessi ambienti della destra italiana subiscono il fascino della figura del mercenario; se la sinistra guardava al Che, nel 1968 Pino Caruso cantava “Il mercenario di Lucera”, l’inno antiborghese per eccellenza. È la stessa filosofia dei pistoleri de “Il mucchio selvaggio” del regista Peckinpah che di fronte alla prospettiva di andare incontro alla morte, rispondono: “Perché no?”. Carney con “I quattro dell’oca selvaggia” mette in scena la figura dei mercenari, che ben conosce anche attraverso le sue vicende personali. Lo scrittore infatti nasce in Libano nel 1944 e dopo aver condotto i propri studi in Inghilterra si stabilisce nella tormentata ex Rodhesia, oggi Zimbawe. Il quadro psicologico che l’autore adotta per i protagonisti della sua storia è dominato da un profondo disadattamento nei confronti della vita civile che tutti hanno intrapreso dopo il mestiere delle armi. Ci troviamo di fronte all’atavica difficoltà dell’inserimento dei reduci nella cosiddetta società civile, sentimento sul quale, pochi anni dopo, David Morrell baserà la figura del reduce per più popolare del mondo, John J. Rambo interpretato per la pellicola cinematografica da Silvestre Stallone. Carney però, influenzato da decenni di guerre sul suolo africano, ipotizza una storia che non si discosta di molto dalla realtà: un uomo d’affari inglese, Sir Edward Matherson, che rappresenta gli interessi di un gruppo bancario, chiede al colonnello Allen Faulkner (con il volto di Richard Burton) di mettere insieme una forza mercenaria per liberare Limbani, deposto capo politico congolese e avversario dell’attuale generale golpista Ndofa che con la sua politica di statalizzazione delle miniere di rame sta nuocendo agli investimenti anglosassoni. Inizia così la prima parte della storia, segnata dall’incontro con i vari personaggi che faranno parte della missione. L’universo dei mercenari è variopinto: si va dallo scapestrato playboy, Shawn Fynn tenente pilota e assiduo frequentatore di night (interpretato da un giovane Roger Moore), al capitano Rafer Janders, che sopravvive facendo il corriere per un’organizzazione malavitosa alla quale si ribella, uccidendone atrocemente il rampollo, quando scopre di trafficare in droga. Quest’ultimo poi si porta appresso il peso di un matrimonio fallito e la responsabilità di un figlio ancora piccolo che mantiene in una scuola svizzera. Il rapporto tra padre e figlio, le difficoltà a comunicare l’affetto, mutano con l’imminente partenza del padre per la missione e la sua ultima visita al ragazzo. I mercenari di Carney sfuggono ai dolori della vita andando in guerra; i soldi diventano un pretesto. Ci si commuove nel leggere del mal d’Africa provato dal mercenario Peter Coetzee, con un passato da esploratore nella valle dello Zambesi che lo hanno portato sull’orlo della follia: “Sono vissuto in una grotta, con poche interruzioni per diciotto mesi. Non uscivo mai quando faceva chiaro, strisciavo solo al buio. E uccidevo, uccidevo. Quasi sempre da molto vicino: così li vedevo, sentivo l’odore della loro paura” racconta al suo commilitone davanti a una birra in una bettola londinese. In questi uomini però, dietro la spietatezza mostrata battaglia, si annida una profonda umanità: è sempre Coetzee a rifuggire la sua condizione di predatore di uomini rimpiangendo il ruolo iniziale di guardiacaccia al quale era destinato “…mi ero sempre visto come uno che protegge le cose, non uno che le distrugge”. Ognuno di loro ha in tasca un sogno che lo aiuta a rimanere a galla: Coetzee spera solo di rivedere la sua Africa, Janders con i soldi dell’ingaggio vorrebbe comprare una fattoria e con essa l’illusione di una vita tranquilla insieme al figlio. Lo stesso Tenente Finn, prossimo alla missione, durante una delle libere uscite, s’innamora di una prostituta che rischia di compromettere la sua determinazione. Il distacco dalla donna è sofferto, ma in questo caso il nuovo amore sarà la motivazione necessaria per riportare a casa la pelle. Nella realizzazione cinematografica il regista Andrew W. McLaglen si affidò alla supervisione di uno che la guerra la conosceva bene e ce l’aveva nel sangue: Thomas Michael Bernard Hoare, celebre mercenario irlandese, al quale Carney si ispirò anche per il titolo del libro: infatti il Gruppo Cinque, composto dai mercenari agli ordini di Hoare, aveva per emblema un’oca selvaggia, già adottata dai mercenari irlandesi del diciottesimo secolo. Se Carney per scrivere la storia non aveva dovuto ricorrere alla fantasia, allo stesso modo le vicende cinematografiche si intrecciarono con la realtà, con risvolti incredibili. Il set del film cementò l’amicizia tra “Mad Mike” Hoare e l’attore italiano Tullia Moneta; i due, nel 1981, tre anni dopo le riprese, s’imbarcarono in un tentativo andato poi a vuoto di colpo di stato alle isole Seychelles. Lo stesso Hoare, intervistato a proposito, ironicamente aveva detto: “Avrei dovuto portare con me Richard Burton e Roger Moore, e avremmo avuto un lieto fine”. Naturalmente non si può non guardare ad un’altra figura leggendaria che senz’altro influenzò Carney con le sue vicende rocambolesche: il mercenario Bob Denard, classe 1929, che dopo aver combattuto tra le fila della Legione Straniera francese in Indocina, costruì la sua fama di eroe portando in salvo la popolazione bianca presente in Congo Belga nel 1961 durante la secessione. La sua epopea mercenaria toccò l’apice con la conquista delle isole Comore nel 1976 sui cui mantenne il potere fino al 1989. Carney per i suoi mercenari prevede un’ulteriore prova, ovvero l’impiego sul campo di battaglia attraverso un lancio notturno col paracadute. Il portellone dell’aereo che si apre sul vuoto, l’affidare la propria vita a un pezzo di stoffa tenuto insieme da cordicelle, è sinonimo di una scelta che non ammette ripensamenti. È lo storico Dominique Venner, combattente d’Algeria, a riassumere in poche parole la metamorfosi spirituale che si conquista attraverso il lancio: “Il parà è un iniziato. Ha subito delle prove che fanno di lui un altro uomo. Ha scoperto il segreto dell’ordine. È il depositario del Graal”. I mercenari di Carney cadono uno dopo l’altro, uniti dal medesimo destino, traditi da Mattherson che in nome di repentini mutamenti politici, decide di annullare la missione e di lasciarli al loro destino. Soli e braccati dai sanguinari guerrieri Simba agli ordini del generale Ndofa scelgono la morte in battaglia. Si battono con sprezzo fino all’ultima pallottola, contro le forze nemiche soverchianti per numero. I pochi superstiti che riescono a mettersi in salvo hanno negli occhi la morte dei camerati; tra loro, nella carlinga del Dakota pilotato da un capitano Fynn, morente c’è Limbani, il leader politico, obbiettivo della missione; gravemente malato, è sopravvissuto alla morte grazie al sacrificio del mercenario Mctaggart che dopo l’iniziale diffidenza razzista abbraccia la causa di Limbani giurandogli fedeltà. Sarà proprio quest’ultimo a veder morire il mercenario “razzista” e a piangerne la morte con “grandi lacrime silenziose”. La versione cinematografica del romanzo ha la sua conclusione nel ritorno a Londra di Faulkner deciso a vendicare i suoi uomini e lo farà uccidendo sir Matherson. Carney invece, fedele alla filosofia mercenaria rifuggirà il lieto fine lasciando morire Faulkner sul campo di battaglia.
da Ippolito Edmondo Ferrario | Feb 7, 2018 | News
L’anno passato, il 2017, è stato un periodo di intensa scrittura che a breve darà i suoi frutti. Frutti che potrete trovare in libreria a primavera. Per ora limitiamoci ad una piccola anticipazione su di un nuovo personaggio che inaugurerà una serie di libri. Gli ingredienti sono Milano, la mia città, gli anni 80 (che ho vissuto da bambino), la Milano da bere, che ancora oggi affascina, ed il noir…
Milano, 1984. Gunther Sander, ex mercenario che ha combattuto negli anni Sessanta in Congo con altri volontari europei, da alcuni anni gestisce uno dei più frequentati night-club della città, il Bodega di via Amedei. La morte di suo figlio, il piccolo Alain, avvenuta anni prima in Francia, ha cambiato per sempre la sua vita. Malinconico e introverso, Gunther sopravvive giorno dopo giorno, sforzandosi di adeguarsi al presente e ad una parvenza di normalità. Tutto sembra non avere più un senso per lui, mentre i giorni scivolano lenti e uguali, dividendosi tra la vita notturna al locale e cercando conforto in una relazione con una donna sposata.
Gunther Sander, disegnato dal fumettista Francesco, Bisaro, in uno dei fotogrammi del booktrailer che accompagnerà l’uscita del libro
Gunther Sander, disegnato dal fumettista Francesco, Bisaro, in uno dei fotogrammi del booktrailer che accompagnerà l’uscita del libro
da Ippolito Edmondo Ferrario | Feb 7, 2018 | News
Sono passati più di dieci anni dall’uscita del mio primo romanzo noir di ambientazione ligure, Il pietrificatore di Triora, edito dalla Fratelli Frilli Editori. Sembra passata un’eternità. Voglio oggi ricordare quel libro, che diede seguito ad una serie di eventi, ma soprattutto a serate trascorse in amicizia, con due articoli scritti allora da Alberto Pezzini, noto avvocato e giornalista di Sanremo. Non ci sono parole migliori delle sue per ricordare quelle atmosfere incantate, o meglio stregate, tanto per restare in tema, vissute in quegli anni.
Il lombardo che canta Triora
Di Alberto Pezzini
La Riviera, 6 ottobre 2006
Albergo Colomba d’Oro di Triora. Un giovane scapigliato lombardo e la malia di un paese appiccicato alla montagna più alta della Liguria. Colazioni pantagrueliche al mattino, una terrazza buttata su boschi e coppi rosseggianti nel sole d’ottobre. Di notte, nei boschi ancora pieni di caldo dell’estate, una camminata tra suoni, odori e parole evocative. Tutto questo sarà la maratona letteraria che si terrà a Triora il 21 ottobre con la partecipazione di Andrea Pinketts ed Ippolito Edmondo Ferrario. Quest’ultimo ha scritto un bel noir, Il pietrificatore di Triora, che si legge velocemente e tutto d’un fiato. Ricorda molto da vicino il Pinketts di Lazzaro Santandrea quello prima maniera per intenderci. Il bello è che il giovane Ferrario ha creato – a Triora – lui che è lombardo nel midollo più intimo – e precisamente vive a Milano dove gestisce una galleria d’arte neanche troppo modesta – una sorta di festival della letteratura stregonesca. In ciò è stato aiutato dalla giovane patronne dell’Albergo Colomba d’Oro che l’ha aiutato e ne ha ricevuto davvero un’incoronazione solenne nel romanzo. Anche se non ne avrebbe avuto bisogno vista la genuinità della struttura e la bellezza misteriosa ma semplice di questo ex-convento trasformato fatescamente in albergo dalle mille delizie. Il libro di Ferrario è da leggere. Vi ricordate quando da bambini prendevamo in mano un libro che ci catturava occhi e mente per un pomeriggio? La malia sarà la stessa per chi è appassionato del genere noir condito con fantasia e senso tattico della realtà. Il Ferrario è intraprendente ed ha saputo impastare un intreccio dove la mano esercitata dello scrittore di pezzi ad hoc per Tutto Turismo si mescola maliziosamente con alcune trovate degne di un nuovo astro nascente della letteratura locale. Il bello è che Triora, Sanremo, Molini e la Liguria delle nostre zone si sentono anche all’olfatto leggendo la pagine di questo libro edito dalla Frilli.Ciò che colpisce è che promoter delle nostre zone sia proprio un lombardo il quale ha saputo assimilare sotto pelle – in modo davvero stregonesco e quasi misterico – il senso di Liguria. Un personaggio chiave del romanzo sarà proprio un ligure puro come l’acqua dei nostri torrenti, il quale parla pochissimo, a mezzo di frasi sempre tronche e quasi reticenti, ma interviene quando meno te lo aspetti con una bruschezza che risolve tutto. Come i liguri – Ferrario – chissà perché – mi ha ricordato un poco un francese che aveva scritto un libro bellissimo e crudo – ti sembrava di leccare uno scoglio tanto sapeva di mare in certe scene – sulla Puglia: Gli Scorta. Probabilmente sarà un mutante pure lui. Va detto che il ragazzo possiede anche un’innata inclinazione mercantile la quale aiuta molto e lo aiuta nei suoi vernissage letterari. Va bene anche questo. Quello che dispiace potrebbe essere il fatto che un lombardo canti Triora, anziché un ligure: cazzi nostri. Ci dovevamo pensare prima.
Le ammalianti donne di Triora
Di Alberto Pezzini
La Riviera, 25 gennaio 2007
Triora è un paese bellissimo. Come sapete, però, ha sui coppi delle case un’antica tradizione. Quella delle streghe. Periodicamente vi si svolgono convegni, celebrazioni e dibattiti. Chissà se gli abitanti del paese comprendono che stanno seduti su di una fortuna. Quell’insanguinato, cieco e distruttivo processo dell’Inquisizione gli ha portato – dopo cinquecento anni – benessere e denaro. Sarà per questo, quindi, che le donne di Triora conservano una qualche malia. O almeno le donne che a Triora decidono di trasferirsi. Ho in mente una ragazza che si chiama Simona ed è la patronne dell’Albergo Colomba d’Oro. L’albergo – già convento e poi caserma – è oggi guidato da lei. Femmina dagli occhi di un mare antico, a metà tra la strega buona ed una fata soave. Simona non è bella, ma ha un savoir – faire, anzi un’allure, ed una dolcezza d’antichi tempi. Impossibile trovarne una eguale, soprattutto oggi. Quando ti serve a tavola sembra di sentire un’eco lontana, quasi un suono di violini. E’ proprio vero che la bellezza non è solo fisica. Ma anche – e soprattutto – di anima. Torno al punto. Simona si è trasferita qui – a Triora – da Sanremo ed oggi manda avanti un barcone poderoso come l’Albergo Colomba d’Oro. Se non ci fosse questa struttura, tutti i convegni delle streghe si terrebbero probabilmente nei boschi. Si è accollata un compito difficile, anche perchè lo sta facendo in terra infidelium. La sua estrazione cittadina, la sua cultura, la avviliscono un poco tra le ardesie di Triora ed in mezzo ad una popolazione locale non sempre benevola nei confronti di ciò che è furetto. Non so se conoscete i liguri dell’entroterra, e vi sta parlano un ligure. Sono duri come pietre, ed a volte non vogliono capire per troppa rustichezza, complice una furbizia contadina che rasenta l’ottusità. Simona deve quindi barcamenarsi. Tra il mondo delle celebrazioni, del turismo e del marketing, e della gastronomia professata ad alti ed eccellenti livelli, ed un mondo che per alcuni aspetti sembra ancora essersi fermato ad Eboli. Vi dirò che io ho conosciuto Simona in una serata un poco complice. Con il mio amico Ippolito, il Pietrificatore di Triora, abbiamo cenato davanti al camino insieme a Simona che ci ha accompagnato servendoci e poi sedendo insieme a noi. Quello che ho sentito mi è bastato: vi basti pensare che in un pugno di ore, in tre, abbiamo parlato praticamente di tutto. Dalla musica di una pianista che ha preferito i lupi agli uomini, a Terzani, ad un viaggio da fare su di un cargo, alle streghe. Soltanto una strega fatata può vivere a Triora, con quello sguardo. Forza Simona. Grazie della incantevole serata. Mi hai fatto ricordare l’Africa e le storie che gli uomini blu si raccontano intorno al fuoco. Devi essere proprio una strega. Ma dolcissima.
Alberto Pezzini
Veduta del borgo di Triora
Triora. L’Albergo Ristorante Colomba d’Oro, attualmente chiuso. In passato è stato teatro di numerose iniziative culturali
Il pietrificatore di Triora
da Ippolito Edmondo Ferrario | Feb 7, 2018 | News
In arrivo a marzo 2018 la nuova edizione di Un parà in Congo e Yemen 1965-1969
Uscito nel 2016 per i tipi della Mursia, il libro ha incontrato fin da subito l’interesse da parte dei lettori. Dopo alcuni mesi dalla pubblicazione gli autori hanno iniziato a presentare il libro durante numerosi incontri inaugurati con quello tenutosi il 23 settembre 2017 presso Casapound, sezione di Cremona, e proseguiti con i seguenti: 1 ottobre 2017 Ristorante La Corte dei Brut, Gavirate (Va), 5 ottobre 2017 Libreria Ritter, Milano, 11 novembre 2017 Federazione Operaia Sanremese, Sanremo, organizzato dall’Associazione Et Ventis Adversis, 3 dicembre 2017 presso Vallum- Lealtà Azione, Lodi. Il volume a dicembre 2017 è andato esaurito.
È prevista quindi per marzo 2018 la prima ristampa, con una nuova veste grafica e con maggiori contenuti. Nel corso del 2018 ci saranno nuove presentazioni a cura degli autori.
Robert Muller nel deserto dello Yemen
Deserto dello Yemen. Robert Muller con accanto la sua Browning cal. 12,7 mm
da Ippolito Edmondo Ferrario | Feb 5, 2018 | News
Sono passati più di dodici anni dalle effervescenti e bizzarre serate culturali organizzate a Triora, il paese delle streghe, con la tua complicità.
Ci eravamo appena conosciuti e da lì a poco avresti presentato i miei libri noir ed il sottoscritto in numerose occasioni. Il tempo passa e ci siamo persi di vista, per chissà quali ragioni. Anche a Triora sono cambiate tante cose; forse è anche per quello che manco dal borgo da diversi anni pur sentendo una certa nostalgia.
Ma a volte l’incanto finisce e dobbiamo serenamente prenderne atto. E andare avanti.
La tua scomparsa mi ha spiazzato.
E mi spiazza ancora, nonostante passino i giorni. Mi rimane il tuo ricordo che mi fa sorridere. E questo non è poco. Penso che non ci sia cosa migliore che lasciare qualcosa di positivo negli altri quando si intraprende l’Ultimo Viaggio, quando si diparte da questa vita per andare oltre.
E credo che il tuo nuovo viaggio sarà straordinario. Voglio ricordarti così, con un tuo dei tuoi articoli. Sembravano pennellate, guizzi di colore, nervosi e incisivi, alla Giovanni Boldini per intenderci. In poche righe eri capace di raccontare l’essenziale, sempre ironico e disincantato.
Mi rimane solo il rammarico di non averti più sentito in questi ultimi anni. Ciao “Choukha”…
Con affetto, Ippolito
IL BORGO DEGLI ORRORI
Libri, misteri, streghe pietrificatori e una sorpresa: il “fantasma” dello scrittore Andrea G. Pinketts per una serata memorabile.
Di Giovanni Choukhadarian
A Triora come in Transilvania. Succede, a partire da questo pomeriggio e fino a novembre avanzato, in quello che solo pochi disinformati persistono a chiamare “il paese delle streghe”.
Non è successa la rivoluzione, nel borgo medioevale che fu capoluogo della valle Argentina, e dove entro il 2008 sarà pur sempre inaugurato il Museo internazionale della stregoneria, entro palazzo Stella, già residenza temporanea del beato Tommaso Reggio, arcivescovo di Genova fino al 1901, e di streghe si tornerà a parlare con ogni dovizia scientifica. Ci saranno però anche le fate e, ci mancherebbe, i vampiri.
Giovanni Choukadarian
Si comincia oggi e si prosegue fino al principio di quest’inverno. Per l’inizio di questo mese e più di paura, Ippolito Edmondo Ferrario, gallerista d’arte milanese, cittadino onorario di Triora ed instancabile promotore di eventi culturali e spettacolari, ha ideato qualcosa di un po’ sopra le righe.
Tanto per cominciare, la presenza di un fantasma vivo, vegeto e poderoso: Andrea G. Pinketts. Del giallista milanese, ora in libreria col fortunato “Ho fatto giardino” (Mondadori), si sa che presenzierà nell’albergo – ristorante “La Colomba d’oro”: ma quando arrivi e che cosa di preciso faccia, questo lo sa forse – soltanto lui.
E’ invece sicuro cosa faranno Ippolito Edmondo Ferrario e Luigi Garlaschelli. Con il fattivo contributo di Alberto Carli, giovanissimo tardo-scapigliato e studioso della Cattolica di Milano, presenteranno due libri diversi ma affini. Ferrario ha pubblicato coi Fratelli Frilli di Genova “Il pietrificatore di Triora”, sorprendente metanoir che oscilla fra il grottesco e il terrificante, con una lieve propensione per il secondo.
Da un gallerista che allestisce mostre di Federico Zandomeneghi e Tranquillo Cremona in mezza Europa, non ci sarebbe aspettato di meno.
Molto terrificante è invece “Corpi di pietra” (Neftasia editore), del Garlaschelli. Si tratta di un atipico romanzo noir, scritto da un serissimo scienziato di laboratorio, ricercatore alla facoltà di Chimica nell’Università di Pavia e noto, fra l’altro, per aver riprodotto in studio il prodigio della liquefazione del sangue di San Gennaro.
Sia Ferrario sia Garlaschelli sono attratti, in modo che si chiamerà senza offesa piuttosto morboso, dalla figura di Pietro Gorini, estroso lodigiano noto per la pratica della pietrificazione, che applicò alla salma di Giuseppe Mazzini e del grande romanziere milanese Giuseppe Rovani.
A pietrificare cadaveri Gorini arrivò per via scientifica, essendo lui matematico puro per studi e vocazione. Le formule adoperate sono rimaste segrete fino a due anni fa, quando proprio Alberto Carli, che a Lodi è custode della “Collezione anatomica Pietro Gorini”, le ha rese note alla comunità scientifica. Tra i primi a interessarsi è stato ovviamente il Garlaschelli e quale miglior sede che “La Colomba d’Oro”, albergo ristorante che sorge entro le mura di un notevole convento francescano in pietra del secondo ‘500, per qualche dimostrazione dal vivo?
Il duo Carli-Garlaschelli, con la complicità intellettuale di Ferrario e quella un po’ delirante di Pinketts promettono questo e altro per un pubblico che non dovrà temere di avere anche molta paura.
Siccome a Triora le cose non si lasciano poi a metà, la serata finisce a mezzanotte, che è l’ora delle streghe, fate e vampire. Si Andrà a cercarli, nel buio del borgo arroccato fino al Castello e nel bosco attiguo. L’illuminazione sarà, all’uopo, ridotta la minimo ed il terrore abbastanza garantito. La maratona letteraria-orrorifica odierna è comunque solo l’antipasto di un mese genericamente dedicato a Halloween e in realtà offerto a chi coltivi il gusto del mistero, del magico, dell’indicibile.
Ci saranno i canonici 3 giorni di festa per Halloween (29-31 ottobre), con camminate fra castagni secolari, personaggi misteriosi acquattati nei carrugi e cenoni stregati, comprensivi di castagnate. Il 18 novembre , torna a Triora Bruna Magi, polemista e scrittrice di razza, con un libro dal titolo chiarissimo: “Fate e streghe sono tra noi? (Pentafoglio)”, dedicato alle virtù magiche di cui appunto dispone il pentafoglio.
Per il resto del mese, una serie di fine settimana densi di eventi dedicati alle erbe magiche (le spiega Libereso Guglielmi, giardiniere di Mario e Italo Calvino), agli alberi cari a streghe e vampiri, e anche ai fiori selvatici: come la bellissima rosa canina.
Chi ha voglia d’impaurirsi divertendosi, da fine ottobre a tutto novembre ha quindi una meta principe: Triora, in valle Argentina, provincia di Imperia, in Transilvania.
La Repubblica – Genova
21 ottobre 2006
Veduta notturna del borgo di Triora
Andrea G. Pinketts e Giovanni Choukadarian durante la serata a Triora
Il pubblico intervenuto alla serata presso l’Albergo Ristorante Colomba d’Oro di Triora