-Lo sai che ho parlato di te nel mio libro sul Ponente Ligure?-
-No…Stai scherzando?! Non so niente- rispondo io perplesso. Mi sembra di cadere dal pero.
-Come è possibile che nessuno ti abbia avvisato?- insiste Alberto
-Credimi. Io non ne so niente. Ma davvero hai scritto di me?-…
Per un po’ di tempo io e Alberto non ci siamo sentiti. Persi di vista, si dice. La distanza di certo non aiuta così come l’aver messo su famiglia, o averla ampliata, come nel mio caso. Gli impegni quotidiani, lavoro, figli… si cerca di incastrare tutto alla perfezione o quasi. A volte si riesce, ma qualcosa, in questa continua “mediazione” che è la vita, si lascia purtroppo indietro.
La telefonata dell’altro giorno mi ha riportato indietro di qualche anno. Era da poco uscito per i tipi della Frilli Editore il mio romanzo noir “Il pietrificatore di Triora”, la mia prima incursione nel genere dopo alcune guide dedicate all’entroterra ligure di Ponente. Mi ci ero buttato a capofitto, con l’entusiasmo del pivello, in un’epoca in cui tutti scrivevano un noir. Per la verità anche oggi tutti scrivono noir. Potevo essere da meno? Misi in moto un personaggio strambo, un detective privato, ex gallerista milanese. Dovevo attingere al mio presente lavorativo, quello di gallerista appunto. Non posso giudicare il risultato, ma a qualcuno il libro piacque. L’ambientazione non poteva che essere Triora, la mia ossessione…Questo borgo così lontano da Milano, ma tanto radicato nel mio inconscio. Una passione prossima alla paranoia per la bellezza cupa e suggestiva di un paese legato alla stregoneria e ad oscure vicende storiche.
Il libro uscì e con esso articoli, recensioni, alcune lusinghiere. E poi ne venne una, scritta da un certo Pezzini, avvocato in quel di Sanremo. Costui teneva una rubrica, denominata “Il Fanfulla”, sul settimanale locale La Riviera.
Il pezzo era intitolato “Il lombardo che canta Triora”. Lo lessi tutto d’un fiato. Pensai che mai avevo letto parole più belle, sincere e spassionate su di un mio libro. Ecco qui di seguito l’articolo del 26 gennaio 2007…
Albergo Colomba d’Oro di Triora. Un giovane scapigliato lombardo e la malia di un paese appiccicato alla montagna più alta della Liguria. Colazioni pantagrueliche al mattino, una terrazza buttata su boschi e coppi rosseggianti nel sole d’ottobre. Di notte, nei boschi ancora pieni di caldo dell’estate, una camminata tra suoni, odori e parole evocative. Tutto questo sarà la maratona letteraria che si terrà a Triora il 21 ottobre con la partecipazione di Andrea Pinketts ed Ippolito Edmondo Ferrario. Quest’ultimo ha scritto un bel noir, Il pietrificatore di Triora, che si legge velocemente e tutto d’un fiato. Ricorda molto da vicino il Pinketts di Lazzaro Santandrea quello prima maniera per intenderci. Il bello è che il giovane Ferrario ha creato – a Triora – lui che è lombardo nel midollo più intimo – e precisamente vive a Milano dove gestisce una galleria d’arte neanche troppo modesta – una sorta di festival della letteratura stregonesca. In ciò è stato aiutato dalla giovane patronne dell’Albergo Colomba d’Oro che l’ha aiutato e ne ha ricevuto davvero un’incoronazione solenne nel romanzo. Anche se non ne avrebbe avuto bisogno vista la genuinità della struttura e la bellezza misteriosa ma semplice di questo ex-convento trasformato fatescamente in albergo dalle mille delizie.
Il libro di Ferrario è da leggere. Vi ricordate quando da bambini prendevamo in mano un libro che ci catturava occhi e mente per un pomeriggio? La malia sarà la stessa per chi è appassionato del genere noir condito con fantasia e senso tattico della realtà. Il Ferrario è intraprendente ed ha saputo impastare un intreccio dove la mano esercitata dello scrittore di pezzi ad hoc per Tutto Turismo si mescola maliziosamente con alcune trovate degne di un nuovo astro nascente della letteratura locale.
Il bello è che Triora, Sanremo, Molini e la Liguria delle nostre zone si sentono anche all’olfatto leggendo la pagine di questo libro edito dalla Frilli.
Ciò che colpisce è che promoter delle nostre zone sia proprio un lombardo il quale ha saputo assimilare sotto pelle – in modo davvero stregonesco e quasi misterico – il senso di Liguria. Un personaggio chiave del romanzo sarà proprio un ligure puro come l’acqua dei nostri torrenti, il quale parla pochissimo, a mezzo di frasi sempre tronche e quasi reticenti, ma interviene quando meno te lo aspetti con una bruschezza che risolve tutto. Come i liguri – Ferrario – chissà perché – mi ha ricordato un poco un francese che aveva scritto un libro bellissimo e crudo – ti sembrava di leccare uno scoglio tanto sapeva di mare in certe scene – sulla Puglia: Gli Scorta. Probabilmente sarà un mutante pure lui. Va detto che il ragazzo possiede anche un’innata inclinazione mercantile la quale aiuta molto e lo aiuta nei suoi vernissage letterari. Va bene anche questo. Quello che dispiace potrebbe essere il fatto che un lombardo canti Triora, anziché un ligure: cazzi nostri.
Ci dovevamo pensare prima.
Alberto Pezzini
Torniamo, con uno scarto di undici anni, alla telefonata con la quale ho aperto questo articolo.
Che fare dunque?
Con la sua voce che è rimasta immutata nel tempo, la sua cadenza sanremasca, Alberto mi ha ricordato quegli anni passati, la libertà di vederci, certe serate pazzesche fra Triora, Apricale, con ulteriori incursioni che arrivavano a Finalborgo, passando per Ventimiglia. Quante risate, aneddoti. Si rideva di gusto.
Non c’è stata malinconia nel nostro amarcord, ma consapevolezza che certe cose cambiano. Che si voglia o no. Eppure, nonostante tutto, quel sottile filo che c’era allora e che ci legava non si è spezzato. Magari per qualche anno è diventato sottile, invisibile, ma esso c’era. La curiosità allora è stata devastante. Dopo aver salutato Alberto non ho potuto non ordinare il suo Viaggio nel Ponente ligure. Il confine sconosciuto. Cahier di viaggio, Historica Edizioni, (www.historicaedizioni.com).
Il libro mi è arrivato oggi. Da circa tre ore è qui davanti a me. L’ho sfogliato con avidità, ma con troppa fretta. Ho visto e riconosciuto nomi e volti. Paesi, borghi e cose buone che ho assaporato durante cene conviviali. E poi sono corso a Triora, a leggere quelle pagine dove Alberto mi ha inserito. Ero quasi tentato di riportarne alcuni stralci, ma poi mi sono detto che non è giusto. Piuttosto fate come me, ordinatelo questo libro. Mi sembra che Alberto lo abbia scritto con quella necessità che a volte si ha di imprimere su di un pezzo di carta certe cose. Spesso i ricordi. Per tenerli vivi e forse perché si ha la paura che un giorno andranno persi. E questi ricordi Alberto li ha scritti con il cuore.
Fine estate del 2003. Quindici anni fa. Sembra passata una vita ed in effetti è così. Mi ricordo ancora incredulo quando ricevetti la lettera-invito per partecipare, in qualità di ospite, ad una delle serate dell’edizione Libri di Liguria, storica rassegna dell’editoria regionale che si teneva, e si tiene, a Peagna, nei presso di Ceriale (www.libridiliguria.it).
E ancora più incredulo fu quando la domenica mattina del 31 agosto, seduto ai tavoli dell’Albergo San Michele di Celle Ligure, sfogliando i quotidiani, vidi il mio nome. Mi sembrava una cosa fuori dall’ordinario. Venivo citato tra gli ospiti della serata.
Di quella prima presentazione ho alcuni ricordi. Il primo è legato al mio arrivo a Peagna, poco prima di sera. Ero giunto con un certo anticipo. Come mia consuetudine all’epoca mi spostavo unicamente in moto. Ricordo un tramonto stupendo sul mare, in lontananza. Io fermo sul ciglio della strada, tempo di una sigaretta e di respirare l’aria fresca delle montagne alle mie spalle. Ero agitato essendo la mia prima apparizione di fronte ad una platea. Il parlare in pubblico non mi sarebbe mai piaciuto neppure negli anni a venire, ma mi ci sono abituato. Questione di timidezza e pudore. Poi non nascondo che in certe presentazioni mi sono divertito e tuttora mi diverto. Ma l’idea di essere di fronte ad una platea, piccola (quasi sempre) o media, un po’ mi infastidisce.
L’altro ricordo è legato al clima di cordialità che mi fu riservato e alle persone giunte ad ascoltarmi. Devo ammettere che dopo le mie prime battute mi sentii a mio agio, merito del Prof. Franco Gallea che introduceva gli ospiti della serata. Tra questi c’era un bravissimo fotografo, tale Enrico Pelos, fra altro autore di ottime guide sulla Liguria (www.enricopelos.it).
Anni dopo il buon Pelos si sarebbe ritrovato a interpretare il ruolo di un moderno druido nei panni di “Pelos il Selvadego” nel mio romanzo “Miracolo a Castelvecchio di Rocca Barbena”, Internos Edizioni (www.internosedizioni.com).
Come dicevo da allora sono passati parecchi anni, ma il ricordo di quella sera, magari un po’ sbiadito, permane. A volte ho l’impressione che tutto sia cominciato lì. In quel piccolo paese, una sera di fine estate, guardando un tramonto. Io e la mia moto.
Giovedì 8 Marzo 2018 ore 18.30 – Corso di Porta Nuova fronte civico 32 – MILANO
Ingresso libero fino ad esaurimento posti
Milano sotterranea
Partecipano gli autori Gianluca Padovan e Ippolito Edmondo Ferrario.
Da più di vent’anni la SCAM (Associazione Cavità Artificiali Milano) è impegnata nello studio e nell’esplorazione del sottosuolo di Milano. Lo scopo non è raccontare quanto fossero belli i Navigli o perché la città fosse paragonata ad Amsterdam o a Venezia, bensì cosa rimane, in alcuni quartieri, di fontanili, torrenti, fiumi, rogge, canali, laghetti e darsene. Delle opere militari che hanno difeso la città fin da tempi remoti, come le stesse hanno modificato il tessuto urbano e quali si possono visitare. E degli ipogei silenziosi dove si celebravano riti prima pagani e poi cristiani, sepolcreti e cripte. Milano è un drago sopito, forse troppo vecchio per reagire, provato dalla novità degli ultimi decenni: i posteggi sotterranei che con le linee metropolitane l’hanno sventrato. Senza giudicare se sia stato un bene o un male, per una città di così antica storia, essere cementificata fino nel profondo.
Locandina dell’incontro presso la libreria Parole e Pagine
Valerio Evangelisti torna a ottobre in libreria con il nono episodio del ciclo di romanzi dedicati alla figura storica dell’inquisitore spagnolo Nicolas Eymerich (1320-1399). “La luce di Orione” (Strade Blu Mondadori, www.eymerich.com) si prospetta come una nuova allucinata e allucinante avventura del domenicano che ha consacrato Evangelisti non solo in Italia, ma nel mondo. Tanto per fare un esempio i suoi romanzi e i racconti sono tradotti in francese, spagnolo (per la Spagna e per il Messico), tedesco, portoghese (per Brasile e Portogallo), croato, serbo, greco, ceco, slovacco, russo, rumeno, ebraico, polacco, inglese. Nonostante l’indubbia fama, Evangelisti da sempre segue un modello di vita piuttosto ritirata. Non frequenta i salotti mondani e tantomeno lo si vede in televisione. Per avere qualche anticipazione sul suo nuovo romanzo lo abbiamo intervistato.
-Qualche anticipazione sul nuovo romanzo “La luce di Orione”. Quale sarà il tema centrale di questa nuova storia?
Eymerich, nel romanzo, parte per ciò che resta dell’impero bizantino, su cui grava la minaccia degli Ottomani. I sovrani, in piena decadenza, contano per il loro riscatto su una creatura che tengono prigioniera, e che forse ha un nesso con misteriosi giganti che ogni mattina sorgono dal mare. L’inquisitore saprà svelare la chiave del mistero.
-L’inquisitore Nicolas Eymerich e lo scrittore Valerio Evangelisti: come è nato questo binomio?
Eymerich rappresenta il peggio di me, la parte oscura. Me ne accorsi mentre collaboravo alla stesura di un manuale di psicoterapia, giunto alla voce “la sub-personalità schizoide”. Decisi di spostare in un personaggio letterario ciò che di patologico esisteva in me.
-Crede che i lettori la identifichino con Eymerich?
No, o almeno capita raramente. Sono di indole tutto sommato cordiale, non spavento nessuno, non ho mai fatto del male ad anima viva. Certo, bisogna conoscermi di persona, e io mi faccio vedere poco in giro.
-Che cosa c’è di Valerio Evangelisti nella figura dell’inquisitore?
Una certa asocialità. Ma mentre Eymerich cerca adepti, e di modellare la società sul suo esempio umano, io tendo piuttosto a farmi i fatti miei. Somiglio maggiormente a un altro mio personaggio, il pistolero Pantera.
-Di recente ha partecipato a Trieste a un convegno sull’Inquisizione. Che cosa ne pensa dell’Inquisizione e del suo operato?
Largamente condannabile, sebbene il Santo Uffizio non sia stato colpevole di tutti gli eccessi che gli vengono attribuiti. Va poi tenuto presente che la Chiesa cattolica tentava di sostituire, con mezzi rudi, l’impero romano venuto meno. Ciò non toglie che coartasse le coscienze. Erede diretto dell’Inquisizione è stato il sovietico Vishinskij.
-La trama narrativa dei romanzi del ciclo di Eymerich si svolge sempre su più piani temporali, tra passato, presente e un futuro plausibile. Come mai?
Cerco di far capire come la personalità tenebrosa di Eymerich varchi le epoche storiche, e domini il nostro futuro ancor più che il nostro passato. Questo è un pericolo serio, che vivo con angoscia. Vedo in giro tanti eredi di Eymerich, sparsi per il mondo.
-L’inquisitore Eymerich, seppur riluttante alla ferocia e al sadismo, non si tira indietro di fronte all’uso della tortura per estorcere confessioni. Nonostante questo, chi legge i suoi libri si identifica inevitabilmente con l’inquisitore dandone un’impronta solo positiva. Come lo spiega?
La violenza di Eymerich è anzitutto psicologica. A volte ricorre alla tortura, ma senza trascendere. Credo che questo risponda a una verità storica, circa l’Inquisizione medioevale: fu quella rinascimentale a fare della tortura una prassi. Quanto all’attrazione esercitata da Eymerich, va considerato che lui è, di norma, molto più intelligente e colto dei suoi nemici. Inoltre tutto è visto attraverso i suoi occhi. L’identificazione è obbligata. Si tratta, per chi sa intenderlo, del “fascino discreto” dell’autoritarismo.
-In questo prossimo libro si parla dell’attuale guerra all’Iraq. Qual è il suo punto di vista sulla questione?
All’Iraq accenno proprio in “La luce di Orione”. Per il commento a quella guerra, cito una frase detta dal ministro napoleonico Fouché, in occasione del rapimento del duca d’Enghien: “Peggio di un crimine: un errore politico”.
-Quale sarebbe quello dell’inquisitore Eymerich?
Penso analogo al mio (e a quello di Fouché, cui somiglia). Forse più cinico.
-Dai suoi libri emergono temi d’attualità quali la scienza che sfugge al controllo dell’uomo, o meglio che viene asservita per scopi malefici. Come si pone di fronte al dilemma scienza o morale?
La morale, purché non superstiziosa o “bacchettona”, deve prevalere sempre.
-Se incontrasse Eymerich adesso che cosa gli direbbe?
Gli direi: “Come mai governi il mondo?”
-Una sua riflessione sull’attualità politica italiana.
Credo che uno scrittore debba occuparsi di questioni etiche generali, non di problemi partitici. Si individua una contraddizione, la si indica al lettore. Questi, al momento di votare, farà le sue scelte. Ho la fortuna di trascorrere in Messico alcuni mesi all’anno. Mi appassiona più la politica di laggiù, con tutte le sue turbolenze, di quella di casa nostra. Almeno, da quelle parti non esistono “Ballarò” né programmi altrettanto molesti, tipo “Matrix” o “Porta a porta”.
In questi giorni sono stato assediato da alcuni ricordi. Con la scomparsa di una persona, Giovanni, ho messo mano ad un faldone pieno di articoli, recensioni e interviste sulla mia attività letteraria di questi ultimi dieci anni. Sfogliando le pagine ho ricordato serate, presentazioni, amicizie, persone e luoghi. Tra le varie iniziative collaterali, una in particolare mi ha riportato alla memoria il bello di quegli anni oggi lontani. Certamente non ho scritto capolavori della letteratura, ma alcuni libri, seppur in piccola parte, hanno aiutato qualcuno che ne aveva bisogno. In particolare i bambini. Il progetto “Una strega per un Sorriso” nato da me e da Simona Pastor, l’albergatrice della Colomba d’Oro di Triora, aveva come finalità l’aiutare i bambini con problemi oncologici e le loro famiglie. In che modo: regalando loro soggiorni a Triora, il suggestivo paese delle streghe. Negli anni una cosa però mi ha sempre turbato e infastidito. Che qualcuno potesse pensare che dare i propri diritti d’autore in favore di un qualche ente o progetto benefico servisse all’autore a farsi in qualche modo pubblicità. Se così fosse stato, sarei sparito dalla circolazione per la vergogna. A distanza di anni però ho avuto la certezza che nessuno acquistava e leggeva i miei libri per questo motivo…Di questo ne sono felice. Anni fa, tramite Facebook, un ragazzo mi ha scritto. Quella sera, leggendo le sue parole, mi sono commosso.
Lui si chiama Marco. Mi aveva conosciuto all’epoca a Triora. Lui era in vacanza con sua sorella e i suoi genitori grazie al progetto “Una strega per un sorriso”. Sua sorella, che era una bambina, poco più piccola di lui, oggi non c’è più. Anni dopo Marco si è ricordato di me e mi ha scritto. Ha avuto parole buone. E questo mi rincuora. Lui oggi è un uomo, un atleta e un amante della montagna.
Dopo tante meditazioni ho compreso che l’essenza di tutto il mio lavoro di scrittore sta in una frase, presa in prestito al “Vate”, Gabriele D’Annunzio: “Io ho quel che ho donato”.
Questa è una verità assoluta. Almeno per me.
Ecco perché a breve, con l’uscita ormai imminente di un mio nuovo romanzo, intendo continuare su questa linea. Che le storie allietino o meno i lettori va bene. Che esse aiutino un bambino o la sua famiglia in difficoltà è meglio. A breve, sempre su queste pagine, quando uscirà il libro in questione, fornirò precise indicazioni in proposito.
Ci siamo quasi. Manca davvero poco. Anche per noi autori, Gianluca Padovan ed il sottoscritto, sarà un’emozione. Un anno di lavoro, moltiplicato per due. Non uno scherzo, ma un impegno quotidiano durato mesi. Per non parlare della revisione dei testi avvenuta queste ultime settimane insieme all’editore. Ma ormai vediamo, come si dice, la luce in fondo al tunnel. La data di uscita in libreria dovrebbe essere il 29 marzo. A seguire ci saranno le presentazioni del libro. Per ora non possiamo fornire ulteriori anticipazioni, ma vi invitiamo a continuare a seguirci su queste pagine.
Esplorazione di un canale alla periferia di Milano
Particolare del putridarium della chiesa di San Bernardino a Milano
Esplorazione degli scavi archeologici nella chiesa milanese di Santa Maria Incoronata
Ingresso del putridarium della chiesa di San Bernardino alle Ossa a Milano
Momenti di un’esplorazione milanese. In foto Gianluca Padovan