Accadde Domani. 11 ottobre 1979. La prima rapina del Nucleo Economico di Avanguardia Nazionale

Accadde Domani. 11 ottobre 1979. La prima rapina del Nucleo Economico di Avanguardia Nazionale

11 ottobre 1979. La prima rapina del Nucleo Economico di Avanguardia Nazionale.

La prima rapina la facemmo l’11 ottobre del 1979 all’agenzia N. 30 del Banco di Roma in zona Eur. Eravamo Alessandro Alibrandi detto “Ali Babà”, Giuseppe Dimitri, il sottoscritto e qualcun altro. Alibrandi ed io raggiungemmo a volto scoperto la guardia giurata che stava fuori dall’istituto. Sapevamo che si posizionava in un punto preciso dove poteva stare all’ombra. Lo disarmammo e in due lo portammo dentro alla banca.

Una volta dentro la prima cosa di cui mi preoccupai fu controllare che tra i clienti non vi fosse magari qualche poliziotto in borghese e quindi armato. Era una precauzione necessaria. Scavalcai il bancone e io stesso mi stupii della riuscita del gesto atletico. All’epoca pesavo 96 chili, ai quali dovevo aggiungere il peso delle armi (una pistola e una bomba a mano) e del giubbotto antiproiettile. Fra l’altro come mia “divisa” per la rapina ero andato a comprare un abito da Cenci: giacca, gilet, pantaloni, camicia e cravatta. E sopra a tutto indossavo un lungo impermeabile chiaro utile per occultare le armi, specie i mitra, ma anche per catturare l’attenzione visiva delle vittime che guardavano più quello che il volto di chi lo indossava.

Iniziai a prelevare i contanti dai cassetti. Nell’occasione avevamo un basista all’interno della banca, un camerata con il quale ci eravamo accordati precedentemente. Nella settimana in cui avremmo fatto il colpo, suo compito giornaliero era far sì che nelle casse della filiale ci fosse a disposizione una liquidità di duecentocinquanta milioni di lire. Come cassiere quello era il suo compito e li fece arrivare. Noi non gli comunicammo il giorno in cui saremmo entrati in azione, la sua consegna era quella di far trovare i soldi disponibili nell’arco dell’intera settimana. Così fece. Quei soldi avrei dovuto far finta di cercarli, visto che non stavano nel cassetto in vista; gli accordi erano che lui, con lo sguardo, avrebbe dovuto indicarmi dove esattamente si trovavano. Dopo aver preso velocemente quello che stava nel cassetto e nell’armadio, circa venticinque milioni, cercai il grosso del contante. Passarono i secondi, feci diversi tentativi, ma non saltò fuori nulla. Il vero ed unico problema era che il nostro basista era strabico. Sembra una barzelletta, ma il gioco di sguardi si rivelò fallimentare per questo motivo. Non capivo dove lui guardava e persi tempo prezioso. Alla fine dovetti rinunciare ai duecentocinquanta milioni che c’erano. Con un sacchetto uscimmo dalla banca con quel poco racimolato.

Per la cronaca il “nostro” cassiere, con la scusa della rapina, a nostra insaputa si intascò dieci milioni facendoli sparire. Tutto questo emerse solo successivamente grazie alle rivelazioni di Cristiano Fioravanti sulle rapine che portarono all’arresto anche dei basisti. Già un sospetto mi era venuto perché il giorno dopo, leggendo “Il Messaggero”, si parlava di trentacinque milioni sottratti alla filiale, e non dei venticinque milioni che avevamo effettivamente portato via.

Tratto da: Domenico “Mimmo” Magnetta, Ippolito Edmondo Ferrario, Una vita in Avanguardia Nazionale, Ritter Edizioni

Accadde Domani. 11 ottobre 1971. I neofascisti della Fenice si scontrano davanti al al liceo Manzoni di Milano con militanti dell’estrema sinistra

Accadde Domani. 11 ottobre 1971. I neofascisti della Fenice si scontrano davanti al al liceo Manzoni di Milano con militanti dell’estrema sinistra

11 ottobre 1971. I neofascisti della Fenice si scontrano davanti al al liceo Manzoni di Milano con militanti dell’estrema sinistra

Pochi mesi dopo, l’11 ottobre dello stesso anno, insieme ad altri camerati mi ritrovai nuovamente coinvolto in pesanti scontri in strada. Avevamo da poco terminato un volantinaggio presso l’Università Cattolica di Milano. Ci dirigemmo a piedi verso via Torino e arrivammo nei pressi del Carrobbio. Probabilmente avevamo ancora sottobraccio dei volantini o qualche copia dei nostri giornali. Questo materiale ci fece identificare facilmente come fascisti. Incontrammo sulla strada degli appartenenti al movimento studentesco. Eravamo in diversi: oltre a me, Marco De Amici, Benedetto Tusa (mio futuro avvocato), Pietro Battiston e Carlo Lovati. Scoppiò una rissa violenta. Alcuni di noi erano armati di coltelli e taglierini. Lo scontro fu più verbale che fisico, ma eravamo in netta minoranza e la situazione stava volgendo al peggio. Ad un certo punto pensammo di rifugiarci all’interno del liceo classico Manzoni che era lì vicino e dove la polizia venne poi a prenderci per arrestarci. Marco De Amici non riuscì a riparare all’interno del liceo e lì fuori venne aggredito restando ferito. Questo episodio è sintomatico del clima di odio instaurato nei confronti dei neofascisti.

Giancarlo Rognoni, Ippolito Edmondo Ferrario, La Fenice. Una testimonianza del neofascismo milanese, Ritter Edizioni

 

 

Un eroe italiano dimenticato

Un eroe italiano dimenticato

Un eroe italiano dimenticato
 
Pier Giorgio Norbiato, conosciuto meglio come Giorgio Norbiato, è stato tra i migliori volontari italiani presenti in Congo. Nato ad Aosta, era diventato incursore della Marina Militare nella quale aveva prestato servizio per sei anni. Dopo il congedo operò come sommozzatore per una società italiana specializzata nel recupero di navi affondate. Durante gli anni della crisi congolese si arruolò nel 6º BCE e si mise in luce per le doti combattive guadagnandosi anche il soprannome di “Le fasciste” per le simpatie politiche.
Si distinse in alcune operazioni anfibie condotti sui fiumi, terreno evidentemente ideale per l’ex incursore di marina. L’ultima di queste condotte in Congo fu quella denominata Alfa e coordinata da Bob Denard, con l’obiettivo di liberare dalla prigionia sull’isola fluviale di Boula Beba il leader Godefroid Munongo. L’operazione, che doveva essere notturna, per una serie di ritardi avvenne in pieno giorno e fallì. Caduta in un’imboscata, la squadra di volontari si salvò grazie a Norbiato.
La sua storia assomiglia a quella di altri volontari stranieri, se non fosse che dopo il Congo Giorgio partì per un nuovo ingaggio, questa volta nella regione del Biafra in lotta per l’indipendenza dal governo centrale nigeriano. Giunto sul posto gli fu comunicato che non sarebbe stato pagato. Lui decise di rimanere lo stesso e di combattere agli ordini del comandante tedesco Rolf Steiner insieme ad altri quattro volontari europei. Grazie all’esperienza maturata negli incursori italiani trasformò alcuni modesti Chris-Craft in una piccola flottiglia armata con cui riuscì ad assaltare una nave nemica carica di jeep Land Rover e viveri, difesa a sua volta da motovedette armate.
Nel Biafra Norbiato trovò la morte. Ferito e senza possibilità di essere evacuato, si piazzò in una buca con la propria MAG per coprire la ritirata dei suoi, sparando fino all’ultimo colpo e sacrificandosi. Giorni dopo lo stesso comandante Steiner organizzò con pochi uomini una sanguinosa incursione all’aeroporto di Enugu. La notizia della sua morte giunse in Italia grazie allo scrittore e giornalista Goffredo Parise, che si assunse l’impegno di portare alla madre di Norbiato i pochi effetti personali del figlio morto. La sua fama di soldato coraggioso e generoso persistette a lungo nel paese africano. Il suo corpo non è mai stato riportato in Italia. E sempre nello stesso anno il giornalista Renzo Allegri gli dedicò un lungo servizio sulle pagine del settimanale «Gente». Così Girolamo Simonetti lo ricorda nel suo libro Il bottino del mercenario: «Camerata Norbiato, ucciso nel Biafra qualche anno dopo nella difesa di Port Harcourt. Abbandonato dai negri in fuga e rimasto, solo, a difendere la posizione fino all’ultima cartuccia. Non avrebbe potuto fare altra fine e forse è stato meglio così. Coerente con sé stesso, fino all’ultimo. La vita intesa come una singolare emozionante partita col destino. Norbiato, che dopo aver vinto delle fortune a poker, in una sola puntata gioca tutto sulla roulette di St. Vincent. Tanto c’è già pronto un altro contratto mercenario… Ha giocato l’ultima partita a modo suo. E noi, ancora qui a rimestare le carte…».
Nel 1974 lo scrittore inglese Frederick Forsyth pubblicò il best-seller I mastini della guerra, frutto della sua permanenza in Biafra nelle vesti di giornalista; nella dedica del libro ricordò così Norbiato e altri volontari presenti: «A Giorgio, a Christian e a Schlee / A Big Marc e a Black Johnny / A tutti gli altri nelle tombe anonime. / Perlomeno tentammo».
Tratto dal libro “Maktub Congo-Yemen 1965/1969” di R. Muller e I.E. Ferrario, Ritter Edizioni
Accadde domani. Primi giorni dell’ottobre del 1965. Robert Müller e Girolamo “Nony” Simonetti arrivano in Congo

Accadde domani. Primi giorni dell’ottobre del 1965. Robert Müller e Girolamo “Nony” Simonetti arrivano in Congo

Primi giorni dell’ottobre del 1965. Robert Müller e Girolamo “Nony” Simonetti arrivano in Congo

Girolamo “Nony” Simonetti (primo a sinistra) e Robert Müller al loro arrivo. Giunti sul suolo congolese, i due volontari italiani sembrano due ragazzini pronti a vivere una grande avventura. Con loro la valigia contenente i pochi effetti personali portati dall’Italia. Per le rispettive famiglie entrambi hanno trovato un lavoro in Belgio presso un’azienda farmaceutica.
«Durante il viaggio in treno, Nony ed io giurammo che se non ci avessero arruolato per il Congo, non saremmo comunque tornati a Milano da sconfitti. Piuttosto avremmo tentato l’arruolamento nel Tercio Spagnolo o nella Legione Straniera.» (R.M.)

Tratto da: Robert Müller, Ippolito Edmondo Ferrario, Maktub. Congo-Yemen 1965/1969, Ritter Edizioni

 

Accadde domani. 2 ottobre 1968. Viene giustiziato il leader congolese Pierre Mulele

Accadde domani. 2 ottobre 1968. Viene giustiziato il leader congolese Pierre Mulele

2 ottobre 1968. Viene giustiziato il leader congolese Pierre Mulele.

In questo turbinio di violenza tribale lo stesso Pierre Mulele, quasi per ironia della sorte, dopo aver sobillato per anni i Simba a compiere le peggiori nefandezze, pagherà in prima persona le conseguenze. Nel 1968 Mulele fece ritorno a Kinshasa dopo che Mobutu gli aveva concesso l’amnistia illudendolo di poter tornare ad essere un uomo libero. Fu organizzato un ricevimento in suo onore dal generale Louis de Gonzague Bobozo, capo di stato maggiore dell’esercito. Mulele e la moglie furono ospitati nella residenza del Ministro Justin Marie Bomboko presso Gomba.

Il giorno seguente, mentre veniva portato in auto allo stadio dove Mobutu lo avrebbe dovuto aspettare per onorarlo pubblicamente di fronte al popolo, fu condotto invece al campo militare di Kokolo. Qui il 2 ottobre del 1968 venne sottoposto a supplizio: mentre era ancora in vita gli vennero amputati orecchie, naso, occhi, genitali. Fu poi fatto a pezzi e gettato nel fiume.

Tratto da:

Robert Müller, Ippolito Edmondo Ferrario, Maktub. Congo-Yemen 1965/1969, Ritter Edizioni