da Ippolito Edmondo Ferrario | Feb 2, 2021 | News
Ad aprile tornerò in libreria.
Un nuovo personaggio vedrà la luce, Diviso tra una Milano incantevolmente innevata e Bonassola.
Atmosfere invernali cupe, musica rock, intrighi finanziari.
Poco più di un mese per raggiungere la verità.
E poi ci sarà lui, il banchiere di Milano, a surfare il Kali Yuga.
Stay Tuned

Il banchiere di Milano secondo il disegnatore Stefano Mazzotti
da Ippolito Edmondo Ferrario | Feb 2, 2021 | Miscellanea, News
Ripropongo qui di seguito, in una veste nuova e rivisitata, un racconto noir uscito qualche anno fa nell’antologia “Delitti alla milanese” curata da Gianluca Margheriti.
Buona lettura
Il macellaio del Verziere
Milano, dicembre del 1965
“Non è possibile? Era tutto quello che avevamo…Come faremo desso?! Sei un maledetto…” mormorò la donna incredula mentre singhiozzava.
Lei e lui erano nel retro del loro negozio. Il marito la guardava immobile, non sapendo cosa dire o fare.
Non provava vergogna, ma semmai fastidio nel dover rendere conto alla moglie di ciò che aveva fatto.
Tutti i nodi vengono al pettine, così si dice, ma Luigi aveva sperato di poter risolvere da solo quel debito che ogni giorno era diventato sempre più grande. Un’illusione che aveva nutrito per mesi.
“La giocata… la prossima giocata sarà quella fortunata” diceva a sé stesso quando usciva dalla bisca del Tino, in quel sottoscala fumoso della Vetra, dove trascorreva sempre più spesso le sere.
Rincasava in piena notte, barcollante, con i sensi anestetizzati dal vinaccio nero.
A volte si doveva appoggiare ai muri dei palazzi, colto dal senso di vertigine che l’alcool gli induceva.
Non di rado si fermava a vomitare per strada, da solo, alla stregua di un reietto.
Si riprometteva che dal giorno dopo sarebbe cambiato tutto, giurava a sé stesso che avrebbe chiuso con quella vita dissoluta.
I soldi ormai non bastavano più, la posta in gioco era sempre più alta.
E poi c’era lei, Anna, che aveva il potere di chiedergli qualsiasi cosa.
Quando lei gli si metteva tra le gambe lui era in suo potere, ammaliato da quegli occhi neri.
La donna, oltre a succhiargli il cazzo, sembra volesse ingoiargli l’anima.
“Non abbiamo più nulla” disse Maria che aveva investito l’eredità dei genitori in quel piccolo negozio di macelleria dopo anni di sacrifici.
Tutto sembrava perduto. Il conto corrente era stato svuotato dalla follia di Luigi, soggiogato dal demone del gioco e della lussuria.
La fine del mese non era ancora arrivata, ed erano già in ritardo con i fornitori da pagare.
Ma quelle che Luigi usava come scuse, errori della banca, come li chiamava lui, si erano ben presto rivelate un castello di bugie.
La lettera inviata dall’istituto stesso e aperta da Maria quella mattina stessa non lasciava dubbi.
Il conto era in rosso di parecchio e le spese continuavano ad aumentare.
Quella mattina Maria si era recata in piazza Fontana, presso la banca di cui erano clienti, scoprendo gli ammanchi.
Luigi aveva continuato a prelevare soldi e ora non avevano più nulla.
A quel punto il marito non aveva più potuto nasconderle la verità.
Se non avessero rispettato i trenta giorni di tempo concessi per saldare gli arretrati, le cose si sarebbero complicate.
Per non parlare di tutte le spese che sarebbero ancora arrivate.
“Vedrai, troveremo una soluzione. Se solo avessi ancora qualche soldo da giocare, potrei fare il colpo.
So che posso vincere” obbiettò lui nella sua follia, non rendendosi conto che la bisca era truccata .
Tino, che aveva un night-club, e gestiva la bisca nello scantinato attiguo riadattato a locale, aveva visto in Luigi il perfetto pollo da spennare, esattamente come quelli che l’uomo vendeva ai propri clienti del Verziere.
Tino aveva l’occhio clinico per individuare i soggetti deboli e vulnerabili; con la complicità di Anna aveva lentamente ridotto Luigi sul lastrico.
Tutto era iniziato una sera come tante, la prima volta che Luigi era andato con degli amici al night-club.
Complice lo champagne, il macellaio aveva parlato del lavoro, della sua bottega di carni che era la più rinomata del quartiere e del fatto che dopo anni di stenti era riuscito a uscire dalla miseria.
Aveva mostrato un Rolex d’oro al polso che aveva comprato da un non meglio precisato amico che gli procurava ori e preziosi a buon prezzo.
Quella stessa sera Tino aveva invitato Luigi ad andare a giocare da lui, in un ritrovo privato dove si poteva giocare soldi lontano, da occhi indiscreti.
Un posto per uomini di mondo, come lo aveva definito lui stesso sapendo di fare breccia nel macellaio. Lo aveva radiografato subito.
Gran lavoratore Lugi Brambilla, ma con un tallone d’Achille, un punto debole: per avere quello che ora possedeva aveva dovuto sudare e faticare come aiuto garzone nella stessa macelleria che poi rilevato, insieme a sua moglie, dal vecchio signor Cagnazzi.
Dunque una vita di privazioni. Ora che aveva raggiunto una certa solidità economica, Luigi voleva provare il brividio del vizio e di tutto ciò che fino a quel momento gli era stato precluso.
Le prime sere aveva pure guadagnato qualcosa a vincendo a poker e a scopa, ma poi la fortuna aveva cominciato a voltargli le spalle.
Se al gioco non era più fortunato a consolarlo c’era lei, Anna, che gli alleviava le pene del giocatore sfortunato, facendogli vivere sensazioni che sua moglie Maria, donna timorata di Dio, gli negava.
***
“Tu sei pazzo? Sei un mostro” commentò Maria sgomenta di fronte alla proposta del marito.
Era sera e stavano cenando a casa, nel loro appartamento di via Maddalena.
Ormai ogni giorno non facevano che discutere della situazione in cui si erano ritrovati.
“Allora preparati a perdere tutto. Ci pignoreranno il negozio, ci porteranno via tutto. Senza il negozio non abbiamo altre entrate” aggiunse lui cercando di convincerla.
“Dimenticavo, c’è anche l’affitto di casa. Con quali soldi lo pagheremo? Non abbiamo più nulla” aggiunse con un tono arrogante.
Luigi al posto di mostrarsi pentito per quello che aveva fatto, trattava la moglie con disprezzo, quasi fosse lei la causa che lo aveva spinto ad una vita dissoluta.
“Ci sono i gioielli di mia mamma. Forse con quelli potremo tirare avanti” abbozzò Maria mortificata.
“Con quella robetta ci paghiamo forse un mese di affitto. Se non facciamo come dico io, devi essere disposta a vivere in strada. Quella è la fine che faremo. Dovremo cambiare quartiere, a meno che tu non voglia farti vedere dalle tue clienti in mezzo ad una strada a fare la questua”
“Qualcuno sarà disposto ad aiutarci!”
“Tu dici?! Ti ricordi quando avevamo bisogno di un prestito e nessuno ci ha voluto dare una mano? Adesso sarebbe anche peggio”
“Ma io non voglio fare del male a nessuno” piagnucolò lei.
“Tu non dovrai fare nulla, ci penserò io. Vedrai che sarà più facile di quello che credi.
E poi il Carlino è sempre bevuto. Non si ricorderà di nulla” fece lui, biascicando un pezzo di michetta del giorno prima, ormai rafferma.
***
Il giorno successivo in negozio la carne scarseggiava. Era rimasto del pollame, della polpa per bistecche, polmoni, interiora, nodini di vitello.
I clienti quel giorno di dicembre, freddo e piovoso, guardavano le vetrine della macelleria e tiravano avanti.
Era come se intorno al negozio di Luigi cominciasse a respirarsi aria di disgrazia.
Poco prima di mezzogiorno entrò, come quasi ogni giorno, Carlino.
Sessant’anni, vedovo da una decina, aveva ereditato da una vecchia zia due cascine nel lodigiano, due floride aziende agricole che gli garantivano ottime entrate, oltre a due appartamenti in via Broletto che aveva messo a frutto.
Carlino si era così assicurato la vecchiaia e non solo quella.
Aveva il vizio delle prostitute e del bere. Un tempo era stato un bell’uomo e forte del suo fascino, ci provava con tutte le donne del quartiere, sposate e non.
Un Don Giovanni alla milanese, amante del cibo e delle forme giunoniche.
Nonostante Maria non fosse né giunonica, né tantomeno appariscente, Carlino aveva un debole per quella donna sempre affabile e gentile, sorridente con i clienti. Nel quartiere si diceva che facesse anche lo strozzino.
Prestava soldi alla gente in difficoltà ed era spietato se qualcuno pensava di gabbarlo.
Girava voce che avesse un amico siciliano, che lavorava al mercato ortofrutticolo, al quale affidava il recupero dei crediti.
“Buongiorno Luigi, Buongiorno Maria” disse entrando nel negozio e guardandosi intorno con aria perplessa.
“Buongiorno signor Carlo” avevano risposto i coniugi Brambilla, scambiandosi uno sguardo d’intesa.
“Che cosa le posso dare oggi?” gli domandò Luigi più affabile del solito.
“Lugànega. Oggi voglio la vostra lugànega. Me la cucino col vino rosso” annunciò l’uomo, soddisfatto del proposito culinario del giorno.
Luigi fece un’espressione vagamente dispiaciuta.
“Non l’abbiamo ancora preparata. Se ha pazienza nel pomeriggio gliela facciamo trovare fresca come piace a lei” fece il macellaio accomodante.
Carlino bestemmiò.
“Venga nel pomeriggio, alla riapertura. Gliela do io, non appena finiamo di farla” si premurò di aggiungere Maria.
La donna sembrava a disagio.
“Ghe nient chi, ostia” sibilò Carlino riferendosi al bancone vuoto.
“Ricordati che oggi non ci sono tutto il pomeriggio e devi fare banco e cassa” aggiunse Luigi rivolgendosi alla moglie.
“Il signor Carlino può venire anche prima dell’apertura.
Io in pausa non mi muovo da qui” specificò Maria, con uno strano sorriso indirizzato all’uomo.
“Fai come vuoi. Io tra poco devo andare” aggiunse Lugi.
Quelle parole innescarono strani pensieri nella mente di Carlino.
Biascicò qualcosa e parve rabbonirsi. Fece spallucce.
“Allora vengo dopo pranzo” disse prima di congedarsi.
***
Maria era immobile, incapace di reagire. Accanto a lei c’era il bicchiere di grappa, ancora mezzo pieno. Carlino la sovrastava, tenendola forte per il collo con le sue grosse mani.
Lei era appoggiata al tavolaccio, con il freddo del piano di marmo che le faceva indurire i capezzoli dei seni schiacciati.
L’uomo, ubriaco, cercava, senza riuscirvi, di slacciarsi i pantaloni.
Le sue dita tozze sembravano incapaci di sfilare il bottone dall’asola. Stava lottando anche con la cintura, ma non voleva mollare la presa su Maria. L’idea di averla lì, nel retro negozio, disponibile a farsi montare, lo faceva impazzire.
Barcollava per l’alcool; per reggersi in piedi la schiacciava giù.
Maria aveva il fiato strozzato e digrignava i denti.
Nelle narici sentiva l’odore intenso del sangue e della carne che su quel tavolo veniva macellata.
I minuti parvero infiniti.
Alla fine riuscì a denudarsi e a prendersi in mano il pene. Maria lo sentì tra le natiche che premeva.
Poi un grugnito, rauco, animalesco, si levò alle sue spalle.
La donna provò una strana sensazione di umido sulle guance, come se avesse qualcosa di bagnato l’avesse toccata. Carlino lentamente abbandonò la presa, permettendole di tornare a respirare. Maria ansimava col fiato rotto, incredula più per la situazione nella quale si era ritrovata, che per il resto.
Era mezza nuda, i capelli scarmigliati, la gonna arrotolata sui fianchi, sgualcita, le mutande strappate.
Si voltò e rabbrividì. Carlino la guardava incredulo, tastandosi il collo con la mano destra, in un gesto frenetico. Aveva la bocca distorta in una smorfia di stupore e sgomento. Non poteva essere vero.
Era in piedi davanti a lei coni pantaloni abbassati, il cazzo semi turgido che penzolava.
Le dita della sua mano avevano incontrato, sgomente, il freddo acciaio della mannaia che Luigi, da dietro, gli aveva conficcato alla base del collo. Era stato un colpo netto, come quando c’era da tagliare l’osso dei nodini.
La lama era penetrata nella carne come se fosse burro. Il sangue era schizzato fuori, zampillando sulle guance piene della moglie del macellaio. Carlino non provò dolore nel sentire che la vita gli scivolava via nel retrobottega della macelleria dei coniugi Brambilla.
Almeno così parve a Maria che lo vide accasciarsi piano, in un rantolo osceno che durò pochi istanti.
***
“Ho dovuto farlo… Quel maiale schifoso ti voleva fare. Ha avuto quello che si meritava” sibilò Luigi stralunato, con gli occhi neri che sembravano uscirgli dalle orbite e un ghigno bieco che gli deformava il volto pacioso.
Carlino giaceva a terra morto con la esta quasi staccata dal collo, con il sangue che andava formando un lago scuro, denso e spesso.
“Dovevamo solo farlo bere! Adesso che cosa facciamo?!” strillò Maria portandosi le mani al viso.
Era disperata e inorridita.
Luigi per tutta risposta, osservando il cadavere con odio, vi sputò sopra in segno di disprezzo.
“Non startene impalata. Stasera andrò a ripulirgli la casa. E adesso diamoci da fare. Vai a mettere il cartello che oggi restiamo chiusi. Abbiamo tanto lavoro da fare- le ordinò il marito che fin dall’inizio aveva pensato di far fuori Carlino.
“Ci arresteranno…La polizia ci scoprirà, finiremo…”
“Taci e fai quello che ti dico- le urlò lui con aria spiritata.
In quel momento avrebbe potuto uccidere anche lei se non avesse obbedito.
Luigi aveva perso ogni freno inibitorio o remora morale.
Avrebbe portato a termine il suo folle progetto con la complicità della moglie. La donna non aveva alternativa.
Quel pomeriggio di dicembre la macelleria dei coniugi Brambilla al Verziere rimase chiusa anche se era un giorno della settimana. Nessuno ci fece caso, visto che ormai negli ultimi tempi nel negozio la carne scarseggiava.
Il cadavere del Carlino venne spogliato.
Maria ne avrebbe bruciato i vestiti nella stufa a carbone di casa la sera stessa, riducendoli in cenere. Una volta messo sul tavolaccio, nudo, senza più vita, il macellaio del Verziere provò uno strano piacere nell’avere a sua completa disposizione il corpo di un uomo che un tempo lo metteva in soggezione.
Per prima cosa volle evirarlo e castrarlo. Mise da parte i testicoli e il pene che avrebbe utilizzato successivamente.
Poi si dedicò con tutta la sua perizia al cadavere.
La dissezione richiese ore di lavoro. Andò avanti fino alle dieci di sera. Fu un’operazione bizzarra, ma istruttiva al tempo stesso. Per uno abituato alla macellazione di animali fu come provare qualcosa di nuovo, un nuovo campo di sperimentazione.
Non provò disgusto, ma procedette senza fretta, cercando di non buttare via nulla, esattamente come si faceva con la carne di maiale.
La sera stessa, dopo la mezzanotte, il macellaio si introdusse nell’appartamento dell’uomo che abitava in via Laghetto. Sapeva esattamente dove abitava perché in passato gli aveva consegnato la carne a casa.
Nessuno si accorse di lui. A quell’ora il quartiere era deserto. Frugò in tutta la casa e alla fine trovò quello che sperava: orologi, alcuni di valore, contanti e gioielli, per lo più ori. Probabilmente erano i preziosi che la gente gli dava in pegno. Setacciò la casa da cima a fondo.
Verso le tre del mattino, in silenzio, se ne andò.
Quando tornò a casa trovò Maria a letto che dormiva profondamente.
Dal giorno successivo la macelleria dei coniugi Brambilla riaprì e il bancone tornò lentamente a essere rifornito di carne. Quello che avevano in gran quantità era la luganega. Ce n’era tanta, a rotoli lunghissimi.
Aveva un aspetto chiaro, forse un po’ esangue, ma era fortemente profumata grazie all’ aglio, al pepe e al finocchietto che Luigi aveva abilmente dosato. Aveva poi aggiunto il brodo di carne, il Marsala e il grana padano per rendere perfetto l’impasto macinato.
In pochi giorni la esaurì tutta e alcuni dei clienti la ricomprarono più di una volta facendogli i complimenti per quanto era buona. Luigi sorrideva, ringraziandoli. Non poteva dire loro che l’ingrediente segreto era Carlino.
da Ippolito Edmondo Ferrario | Gen 27, 2021 | Milano. Storia e Misteri, News
Putridarium del santuario di San Bernardino alle Ossa
Ubicazione. Piazza Santo Stefano.
Mezzi pubblici. Linee tranviarie 12, 15, 23 e 27; linee automobilistiche 54, 60 e 84; metropolitane M1 (St. Duomo) e M3 (St. Duomo).
Visita. Aperti al pubblico solo il santuario e la cappella dell’ossario.
Contatti. Santuario di San Bernardino alle Ossa, sito Internet: sanbernardinoalleossa.it.
Si tratta di un particolare sepolcreto ipogeo forse risalente al XII secolo, situato al centro dell’ottagono che compone la parte principale e monumentale del soprastante Santuario di San Bernardino alle Ossa, edificio d’epoca successiva orientato lungo gli assi cardinali con ingresso a sud.
L’accesso al putridarium è chiuso da una grande grata a pavimento in ferro e ottone in cui campeggia la scritta: «novo hoc templo / ad satisfaciendum / comm. erga defunctos implorantes / s. bernardini sodales / novum hoc sepulcrum sibi et posteris suis / p.p. anno domini mdccliv».
Una ripida e stretta scala in muratura di dieci scalini conduce all’aula sotterranea (5 x 6 metri circa) di cinque lati, la cui geometria pentagonale irregolare è stata dettata dalla presenza di una parete preesistente in posizione nord ovest.
La volta a botte di laterizi ha le arcate posizionate lungo le pareti est e ovest e il cervello di volta è posto al centro dello sviluppo longitudinale, mentre un arco trasversale di sostegno si trova nel punto d’ingresso.
Lungo i lati abbiamo ventuno nicchie in muratura dove sono alloggiate le sedute in lastre di cotto per la decomposizione dei corpi.
Hanno una doppia inclinazione su sedile e schienale, tutte uguali, con foro al centro di convergenza e la sezione della seduta è di tipo circolare, in pianta e in alzato, per favorire la raccolta dei liquidi verso il deflusso; il sistema di scolo ne prevede la raccolta, l’incanalamento e lo smaltimento.
La raccolta avviene dai sedili che, data la loro inclinazione, raccolgono i liquami in bocche quadrangolari poste, come detto, sul fondo delle sedute.
L’incanalamento avviene attraverso piccole condotte in cotto che sbucano sul piano di calpestio alla base dei sedili stessi. Il pavimento della sala ha le pendenze che dai lati convergono in un unico punto in cui si apre un pozzetto circolare la cui funzione era lo smaltimento.
In un momento successivo sulla sua bocca è stato posto un grande prisma modanato di granito, la cui base presenta quattro piccole aperture passanti che permettevano il deflusso dei liquidi nella sottostante cavità.
Su di un lato è incisa una data (1764?) ed è sormontato da una piccola croce di ferro.
Lo studio è stato condotto nel maggio del 2010 grazie alla disponibilità di Monsignor Gianni Zappa e le operazioni di rilievo sono state dirette dall’architetto-speleologo Roberto Basilico, dell’Associazione S.C.A.M.-F.N.C.A.
Dal santuario un corridoio conduce all’attigua Cappella dell’Ossario il cui apparato decorativo è costituito da teschi e ossa.
Il complesso è interessante sia perché si tratta d’architetture del passato non usuali sia perché comunicano un particolare approccio all’unica certezza che abbiamo in vita, quella della morte.
Taluni colgono il solo aspetto diciamo “sensazionalistico” o, superficialmente, quello definito “macabro” della cappella e del putridarium, forse senza interpretare con la necessaria riflessione il messaggio che ancora oggi sono in grado di trasmetterci.
Non neghiamo che la fretta non solo “meneghina” tende ad accantonate taluni aspetti del vivere quotidiano, ignorandoli e quindi non meditandoli per tempo.
Tratto da Alla scoperta di Milano Sotterranea, Ippolito Edmondo Ferrario, Gianluca Padovan, Newton Compton Editori, 2018
da Ippolito Edmondo Ferrario | Gen 27, 2021 | Milano. Storia e Misteri, News
Rifugio antiaereo N. 56
Ubicazione. Piazza Giuseppe Grandi.
Mezzi pubblici. Linea tranviaria 27; linee filoviarie 90, 91 e 93; linee automobilistiche 45, 62 e 66.
Visita. Occasionalmente aperto al pubblico.
Contatti. Comune di Milano, sito Internet: comune.milano.it.
L’anno seguente, nel 1936, è ultimato il rifugio di Piazza Grandi, progettato dall’Ufficio Tecnico del Comune di Milano e realizzato in fase con la soprastante fontana monumentale.
Tanto la piazza quanto la fontana sono dedicati all’architetto Giuseppe Grandi, esponente della Scapigliatura milanese, noto per avere progettato il monumento alle Cinque Giornate e di cui si parlerà più avanti perché al di sotto è stato ricavato il rifugio pubblico N. 8.
La fontana è composta da una vasca rettangolare in pietra chiara, in un angolo sovrastata da una torre anch’essa in pietra dalla cui sommità sgorga a cascata l’acqua.
Nel corso dei decenni si è formata una pronunciata concrezione calcarea, ricoperta da muschio verdissimo, che si è deciso di mantenere in quanto rafforza il significato stesso della natura rigogliosa e prorompente.
L’angolo opposto è occupato da una statua in bronzo, l’uomo proteso verso lo specchio che simboleggia lo stupore innanzi alla bellezza della natura che dona il prezioso liquido.
Il rifugio, o meglio il bunker in cemento armato, doveva essere segreto e la fontana aveva innanzitutto la funzione di “mascherarlo”.
La sua destinazione ci è ignota, ma in ogni caso non venne mai ultimato nei dettagli, rimanendo privo dei portelloni metallici e dell’impianto di ventilazione, filtrazione e rigenerazione dell’aria.
Con l’inizio della guerra è destinato a rifugio pubblico e identificato con il N. 56.
Ha la pianta rettangolare di 23 x 17 metri; l’interno è diviso in 23 “celle” di cui le sole sei centrali adibite a rifugio vero e proprio, per una capienza complessiva di 450 persone.
In una scheda compilata dal Comune di Milano in tempo di guerra si legge che aveva una capacità inferiore, ovvero di 430 persone, ed era considerato «Ambiente popolare».
Curiosamente, pur rimanendo sotto una fontana, non era dotato di acqua potabile corrente.
Eppure se lo visitate vedrete che in ben quattro punti le scritte d’epoca indicano: «acqua potabile» in prossimità di ganci metallici infissi nelle pareti.
Grazie anche alle testimonianze di chi lo utilizzò, sappiamo che ai ganci erano appesi secchi metallici pieni d’acqua e accanto erano assicurate con un cordino le tazze di metallo smaltato con cui attingere e bere.
A seguito del restauro progettato e diretto dall’architetto del Comune di Milano Alfredo Bonfanti, lunedì 27 febbraio 2017 fontana e rifugio sono stati inaugurati.
I locali sotterranei sono stati ripuliti mantenendo le numerose scritte d’epoca in vernice nera.
L’impianto d’illuminazione, pur non essendo quello d’epoca in quanto asportato a fine guerra, svolge egregiamente la propria funzione.
Non è “invasivo” e con discrezione ricalca in parte il tracciato originario su cavetti metallici, alimentando numerosi faretti dotati di sensori di movimento che illuminano solo gli ambienti percorsi dai visitatori.
L’intento è di aprire a scadenze fisse questo impianto, eccezionale per la sua originale costruzione e collocazione.
Tratto da Alla scoperta di Milano Sotterranea, Ippolito Edmondo Ferrario, Gianluca Padovan, Newton Compton Editori, 2018
da Ippolito Edmondo Ferrario | Gen 27, 2021 | Milano. Storia e Misteri, News
“Complesso delle Pompe di Sollevamento – Casamatta Celestino”
Ubicazione. Castello Sforzesco.
Non visitabile. Si tratta dei tratti più interessanti dei sotterranei del Castello comprendente la cosiddetta Galleria dei Cavalieri, ritenuto vero e proprio passaggio segreto.
Eravamo rimasti alla “Galleria dei Tenaci” e davanti a una bella tamponatura recente.
Oltre si sviluppava un intricato complesso di cunicoli, gallerie e casematte e di cu se n’è conservata una buona parte. Ma partiamo dall’inizio dicendo che il “Complesso delle Pompe di Sollevamento” è composto da più opere situate su livelli differenti e parzialmente interessate dalla costruzione dell’impianto fognario nel 1960.
Questo raccoglie in una moderna grande vasca di cemento armato le acque reflue provenienti dal Castello e mediante apposite pompe le convoglia in una condotta fognaria, ma unendole alle acque provenienti dal laghetto di Parco Sempione.
Ad un primo livello abbiamo la “Stanza della Chiusa”, opera quattrocentesca perfettamente conservata, a pianta rettangolare, mattoni a vista e volta a botte.
A pavimento vi sono le lastre di granito che riquadrano l’accesso al sottostante “Cunicolo delle Conchiglie II” e la guida sempre in granito attraverso cui calare la saracinesca.
Analogamente al “Cunicolo delle Conchiglie I” era un condotto segreto attraverso il quale veniva garantito il continuo flusso d’acqua per alimentare sia il fossato interno sia il “Fossato Morto” di Piazza d’Armi anche qualora, in caso d’assedio, i canali a vista fossero stati interrotti. Entrambi i cunicoli passavano al di sotto dell’interrato fossato esterno destinato a proteggere la Ghirlanda.
La “Casamatta Celestino” è composta da una galleria le cui estremità sono murate, ma verso est una rampa doveva connetterla alla soprastante “Galleria delle Postazioni” e verso ovest scendeva di quota attraversando un portale in mattoni, murato, per raggiungere un livello inferiore ad oggi inesplorato.
Una parte della galleria s’allarga per lasciare spazio a una postazione d’artiglieria, la casamatta per l’appunto, che ha subìto in antico una riduzione della feritoia.
Al di sotto sbuca il condotto sotterraneo che consente il deflusso delle acque del laghetto verso la fognatura.
Il livello inferiore del complesso è costituito da un tratto di galleria con volta a sesto ribassato, alta circa 3,5 metri, che abbiamo battezzato “Galleria dei Cavalieri”, oggi utilizzata per lo scarico delle acque reflue.
Di certo non vi transitavano i cavalieri a cavallo, ma essendo l’opera più profonda dell’intero complesso sotterraneo ad oggi esplorato supponiamo che fosse parte se non del favoleggiato passaggio segreto che conduceva a Santa Maria alle Grazie, almeno di un altro.
Difatti la galleria, giunta in prossimità della “Casamatta Celestino”, scendeva repentinamente e questo ce lo dicono le tracce dell’imposta di volta superstiti perché la parte restante è stata interessata dalla costruzione della menzionata vasca di cemento armato.
Secondo i nostri calcoli transitava al di sotto della sopra citata casamatta e quindi anche sotto l’antistante fossato.
L’altezza della galleria può essere giustificata dal fatto che poteva marciarvi una scorta armata con le alabarde in resta, forse quella del Duca o d’altro personaggio importante, autorizzato a percorrere il passaggio segreto.
Tratto da Alla scoperta di Milano Sotterranea, Ippolito Edmondo Ferrario, Gianluca Padovan, Newton Compton Editori, 2018
da Ippolito Edmondo Ferrario | Gen 27, 2021 | Milano. Storia e Misteri, News
Cripta della chiesa di San Fedele
Ubicazione. Piazza San Fedele n. 4.
Mezzi pubblici. Linee tranviarie 1 e 12; metropolitana M1 (St. Duomo) e M3 (St. Duomo).
Visita. A pagamento.
Contatti. Parrocchia San Fedele, siti Internet: centrosanfedele.net, parrocchiasanfedele.gesuiti.it.
Visite guidate. Visite guidate a cura del Museo, sito Internet: sanfedeleartefede.it.
Chiesa dei Gesuiti costruita nella seconda metà del XVI secolo, è situata sul sedime della più antica chiesa di Santa Maria in Solariolo o Solario «poiché sorta accanto ad una casa solariata, cioè il tradizionale edificio medioevale di area padana, con al piano inferiore a portici e al piano superiore una sala con funzioni pubbliche» (Sito Internet: lombardiabeniculturali.it.).
La cripta, unitamente alla chiesa, sono state recentemente restaurate; all’interno vi è un percorso artistico, religioso e storico attraverso la sacrestia, la così detta “Cappella delle Ballerine”, la cripta e il Museo dei dipinti e dei reliquiari, le cui opere più antiche risalgono al XIV secolo.
Scrive Antonio Cassi Ramelli: «Chi discende la scaletta del Convento dei Minoriti viennesi, trasecola nel sentire che le spoglie dei Grandi di Casa d’Austria non si conservavano intere e che l’usanza di riserbare al corpo, ai visceri e al cuore, distinto ricovero e diverso riposo, abbia potuto perpetuarsi tanto a lungo.
E pochi sospettano che il solo cuore di Maria Carolina, figlia dell’arciduca Ranieri, (l’“idiota di turno” secondo i suoi sudditi e vicerè di Lombardia dal 1818 al 1856), nata a Milano il 6 febbraio 1821 e morta a Vienna il 23 gennaio 1842, sia conservato in una teca d’argento dentro la cripta di S. Fedele».
Tratto da Alla scoperta di Milano Sotterranea, Ippolito Edmondo Ferrario, Gianluca Padovan, Newton Compton Editori, 2018